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«Bastonate per farmi prostituire», l'incubo e la salvezza raccontati in aula

Corte d'assise. La 27enne nigeriana ha rivisto i suoi presunti sfruttatori accusati di averla ridotta in schiavitù da settembre 2015 a luglio 2016: «Salva grazie a uno sconosciuto che mi ha convinta a denunciare»

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

07 Ottobre 2024 - 18:09

«Bastonate per farmi prostituire», l'incubo e la salvezza raccontati in aula

Nel riquadro gli avvocati Alessandro Zontini e Michela Tomasoni

CREMA - In Nigeria, il rito davanti alla statua di un santone: una sorta di giuramento di fedeltà alla connazionale che a Crema l’avrebbe ospitata per farle fare la baby sitter, così almeno lei credeva. Il viaggio in auto e in pullman per raggiungere la costa e quello sul barcone. Lo sbarco a Lampedusa, la sua nuova vita «d’inferno» a Crema. Buttata in strada a prostituirsi, dalla mattina alla sera, sette giorni su sette, tenuta in scacco da Edith e Paul, fratello e sorella, 38 e 35 anni, i suoi presunti aguzzini, che quando lei rincasava dalla strada, le contavano i preservativi rimasti. Così sapevano quanti soldi aveva guadagnato. Se li prendevano tutti. Lei si teneva un po’ di spiccioli, qualche «mancia». E se si ribellava, erano botte («tante»), minacce a lei e alla sua famiglia in Nigeria. La libertà ha un prezzo: 35mila euro.


Oggi Maria (nome di fantasia), nata e cresciuta a Benin City, ha 27 anni, vive in un’altra regione del nord e si mantiene lavando i piatti nella cucina di un ristorante. Oggi si è presentata al presidente e ai giudici della Corte d’Assise. In aula ha rivisto Edith e Paul, i suoi presunti sfruttatori accusati di averla ridotta in schiavitù e di averla costretta a prostituirsi da settembre del 2015 a luglio del 2016, quando lei è riuscita a scappare. Non li vedeva da allora. E sino a ieri, terza udienza, i due imputati non si erano mai fatti vivi nemmeno con i loro difensori d’ufficio, gli avvocati Michela Tomasoni (per Paul) e Alessandro Zontini (per Edith). Maria ha raccontato quei dieci mesi infernali.


Sino all’età di 18 anni, in Nigeria ha badato ai suoi fratelli più piccoli. A Benin City suo padre conosceva una parente di Edith che «a Crema cercava una baby sitter». Maria è partita. «Sì, avevo sentito di ragazze che poi si dovevano prostituire, ma pensavo che il mio caso fosse diverso». Sbarcata a Lampedusa, le hanno dato «un foglio»: il permesso di soggiorno provvisorio per tre mesi. Poi, è finita in quella casa dove «si sono trattenuti il foglio». Dove «mi facevano dormire su un materasso in soggiorno; d’inverno era ghiacciato, perché lo tenevano sul balcone e poi lo ritiravano».

Ai vestiti ci pensavano loro. Il cibo «non sempre me lo davano». E quando glielo davano «dovevo mangiare in un angolo della cucina».Maria ha fatto mettere a verbale: «Mi dovevo prostituire dalle 8 alle 18, qualche volta fino alle 20, tutta la settimana, anche la domenica, anche con il ciclo. Se mi ribellavo, mi picchiavano, alternativamente, più lei che lui, la signora anche con un manico di scopa. Mi dicevano che se volevo sentire i miei in Nigeria, dovevo continuare a prostituirmi».


A luglio del 2016 l’incontro con un connazionale. Maria è riuscita a uscire dalle grinfie degli imputati. «Ero molto stanca di vivere lì». Si è messa con un connazionale (hanno vissuto a casa di lui), poi la storia è finita, lei ha dormito una notte sulla panchina di un giardino e lì l’ha intercettata un uomo che l’ha salvata. Maria gli ha raccontato la sua tragedia, lui ha insistito perché andasse al commissariato di polizia a denunciare. Lo ha fatto. «Da lì mi hanno portato alla Caritas, il giorno dopo in un’associazione a Milano, poi con la stessa associazione a Bergamo». Dal 2019 Maria vive in un’altra regione. Il 22 ottobre, la sentenza.

FRATELLO E SORELLA SOTTO ACCUSA: «CONOSCIUTA SU FACEBOOK, SI VENDEVA GIÀ PER STRADA»

«Quello che ha detto non è vero. Lei si prostituiva volontariamente». Hanno negato tutto, botte, ricatti, minacce, i fratelli Edith e Paul. Lui si è detto «basito, l’ho conosciuta su Facebook, ci siamo incontrati a Crema, lei faceva già la prostituta». Prima si è difesa Edith madre di due figli «che vivono in Nigeria», un lavoro — «pulizie in uffici» — assunta da una cooperativa, mentre suo fratello, residenza ad Anzio, domiciliato a casa di sua sorella, fa il magazziniere a Peschiera Borromeo per conto di una cooperativa.

«Non l’ho mai fatta prostituire, mio fratello l’ha portata in casa mia, ho capito che era la sua fidanzata, lei faceva la prostituta per fatti suoi, non le chiedevo soldi, non pagava l’affitto», si è difesa Edith. Che ha aggiunto: «Nel 2015 e nel 2016 io non avevo un lavoro, chiedevo l’elemosina nei supermercati, lo stesso faceva mio fratello». Dopo Edith, Paul. «L’ho conosciuta su Facebook qui in Italia. Il primo incontro a Crema, lei faceva già la prostituta. I nostri rapporti si sono guastati, quando lei ha trovato un altro ragazzo. Lui le ha detto di denunciarmi». «Ma se lei non le ha fatto niente, perché avrebbe dovuto denunciarla?», ha rilanciato il presidente della Corte d’assise. Nessuna risposta.

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