L'ANALISI
04 Ottobre 2024 - 20:37
Il tribunale e nel riquadro l’avvocato Marco Corti
CREMONA - C’è il candidato indiano che ci ha provato sette volte, ma non conoscendo una parola di italiano, alla fine, per l’accusa è caduto in tentazione e ha ‘peccato’: smartphone e auricolare infilato nell’orecchio collegato al suggeritore esterno. Beccato, tappa al Pronto soccorso per farsi estrarre l’auricolare che si era incastrato, denuncia. E processo. È storia di lunedì.
C’è il candidato indiano che ci ha provato tre volte: smascherato, alla fine ha patteggiato 1 mese. E un connazionale, storia di oggi, che dal giudice ha avuto l’okay per la messa alla prova: cinque ore la settima di lavori di pubblica utilità alla Croce Verde di Viadana (Mantova) per cinque mesi. Se il percorso sarà senza ostacoli, il reato si estinguerà.
Sono tre dei numerosi processi che arrivano davanti ai giudici. Imputati, i ‘furbetti’ della patente di guida, che nell’aula della Motorizzazione civile in via Boschetto, arrivano con l’armamentario: smartphone, auricolare, minuscola telecamera. Candidati disposti a rischiare di finire nei guai, pur di superare l’esame di teoria. Perché «già sanno guidare», avendo conseguito la patente nel loro paese d’origine, l’India, prima di cambiar vita, volare in Italia e lavorare nelle stalle: bergamini. «Una volta arrivati in Italia, possono guidare per un anno, quindi non sono ritenuti pericolosi; poi, però, scaduto l’anno devono rifare l’esame, perché India e Italia non hanno stipulato l’accordo, a differenza di altri paesi stranieri come Algeria, Marocco, Taiwan. In questi casi, basta fare la conversione della patente straniera, sostituendola con la patente di guida italiana».
L’avvocato Marco Corti ha assistito l’indiano che ha patteggiato 1 mese e sta difendendo il connazionale che ci ha provato sette volte: «Ma di casi così ne ho diversi, ne capitano molti sia a me sia ai miei colleghi».
Come la collega Mariagrazia Serato, arrivata oggi a Cremona da Lodi, lei difensore dell’indiano che ha ottenuto la messa alla prova.
In base alla propria esperienza, l’avvocato Corti spiega i retroscena dei casi, spesso fotocopia, in assenza della convenzione tra Italia e paesi stranieri come l’India, appunto. «Scaduto l’anno, tu devi rifare l’esame, ma il primo ostacolo è la lingua italiana: non la conoscono, non la parlano. Nel processo che ho in corso, il mio assistito ha tentato l’esame di teoria 7 volte, a riprova che era sua intenzione rispettare le regole», ma poi, secondo l’accusa avrebbe trovato l’escamotage del suggeritore esterno. «A queste persone — sottolinea Corti — la patente serve per recarsi al lavoro». L’indiano assistito dall’avvocata di Lodi al lavoro ci sta andando «con una minicar», le piccole auto ribattezzate ‘senza patente’.
Per l’avvocato Corti, «intanto, sarebbe fondamentale che una volta in Italia, gli stranieri frequentassero corsi per imparare l’italiano», per superare i quiz senza ricorrere al ‘suggeritore esterno’ e finire a processo (è difficile sgarrare: i controlli sono serrati) e rischiare la condanna. «Anche perché se hai un precedente penale, anche se hai un lavoro regolare, non ottieni più la cittadinanza italiana», sottolinea l’avvocato Corti. Che affronta un altro nodo. Il reato contestato compirà 100 anni l’anno venturo: è la legge del 19 aprile 1925, numero 475. Punisce con la reclusione da 3 mesi a 1 anno chiunque in esami per il rilascio di patenti presenti «lavori che siano opera di altri»: nel caso delle patenti, l’opera di altri è l’aiutino del suggeritore, che spesso resta ignoto.
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