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CREMONA. PATENTI FACILI

Certificati di residenza falsi per evitare l'esame

Accusati 26 imputati extracomunitari che fecero domanda per la conversione del titolo di guida

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

17 Maggio 2024 - 18:49

Certificati di residenza falsi per evitare l'esame

CREMONA - Anno 2017. Il Comando della polizia stradale raccoglie la segnalazione della Motorizzazione civile su «un incremento di richieste di conversione della patente di guida estera» da parte di extracomunitari, la maggior parte albanesi, qualcuno marocchino. Un aumento «sospetto». Ma c’è un’altra «anomalia». E cioè che tutti i richiedenti la conversione della patente «avevano residenza fuori provincia». I più abitavano nel Bresciano: Botticino, Castrezzato, Gavardo, Leno, Torbole Casaglia. Altri in Romagna: Cesena, Cervia, Gambettola. Altri ancora nella Bergamasca - Villongo e Costa Volpino  — o in Veneto a Verona.

Nasce così l’indagine su un giro di «patenti facili» ottenute, secondo l’accusa, presentando falsi certificati di residenza storici e/o falsi certificati medici. Nel caso di extracomunitari, per la conversione della patente bisogna essere residenti in Italia da meno di un anno. Altrimenti, si deve sostenere l’esame di revisione.  Ma da almeno quattro anni risiedevano in Italia i ventisei imputati oggi a processo.

Secondo l’accusa, avrebbero fatto «carte false» pur di ottenere la conversione della patente. E le avrebbero fatte in concorso con Mourad Talbi, personaggio «chiave» dell’inchiesta (la sua posizione è stata stralciata), perché  è l’uomo che all’epoca si presentò  in un’autoscuola della città. Lui aveva chiesto informazioni sulla conversione di una ventina di  patenti straniere (quali documenti servissero). E sempre lui poi era tornato con il cliente di turno per sbrigare la pratica.

Gente che non faceva mai domande in autoscuola, anzi una sì. «Fra quanto tempo è pronta?»  La pratica costava 135 euro. «Pagava sempre lui», Talbi, ha confermato il dipendente dell’autoscuola che ne convertì solo dieci. «Ed anche questo aspetto mi insospettiva». Già perché sette anni fa, insospettito dalle «troppe anomalie», fu proprio l’impiegato dell’agenzia (teste del pm) ad avvisare la Motorizzazione civile («Non ti preoccupare, tu manda, ci pensiamo noi a verificare l’autenticità dei documenti»). A sua volta, la Motorizzazione civile allertò la Polstrada.

«Abbiamo chiamato i Comuni di residenza e scoperto che non avevano emesso loro i certificati storici di residenza». Quindi «i certificati erano tutti falsi», ha spiegato l’investigatore della polizia stradale. Nel caso dei certificati medici apparentemente emessi dal Distretto socio sanitario di Brescia, «li abbiamo mandati alla dottoressa, ma lei li ha disconosciuti». Erano falsi. Tra l’altro, chi li ha ‘fabbricati’ non si era aggiornato: sul certificato c’era il timbro della ‘vecchia’ Usl. Una delle «anomalie» venute a galla nell’indagine.

«C’è chi aveva già ottenuto il documento, per altri la pratica era inevasa», ha proseguito l’inquirente. Se le patenti italiane erano 'patacche', quelle straniere «erano tutte regolari: è un accertamento che già aveva fratta la Motorizzazione civile».

Gli imputati erano consapevoli e, quindi, hanno concorso  nei reati di falso insieme a Talbi. Oppure, come sostengono i difensori (uno dei 26 è assistito dall’avvocato Santo Maugeri), si sono affidati a lui, convinti che fosse tutto in regola?  Per il gip che  ordinò al pm l’imputazione coatta «non pare credibile che Talbi abbia potuto agire all’insaputa del cliente di turno che, invece, ben consapevole di non poter ottenere la conversione della patente di guida, perché residente in Italia  da diversi anni (chi da almeno 4) «si era rivolto proprio a Talbi , fornendogli i dati personali», perché «evidentemente», i clienti sapevano che lui «era in grado di procacciarsi di falsi certificati storici di residenza e/o falsi certificati medici necessari per ottenere la conversione della patente di guida senza esame di revisione ovvero senza sottoporsi ai previsti esami medici».

E ancora: «Non rileva in alcun modo che fosse il Talbi a gestire le pratiche, provvedendo al deposito dei documenti necessari  presso l’autoscuola, in quanto è ben possibile che, essendovi a monte un patto  illecito con il cliente, il Talbi si sia occupato di gestire la pratica quale ‘delegato’ dallo stesso, prestando al posto del consapevole indagato  la falsa documentazione».

Se e quanto abbia guadagnato Talbi con il giro di patenti facili, non si sa. L’unica certezza, ad oggi, è che i coimputati gli diedero 135 euro per la pratica. In aula si tornerà il 22 novembre prossimo, quando sarà sentito un altro investigatore della polizia stradale.

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