L'ANALISI
27 Settembre 2024 - 19:32
Nel riquadro l’avvocato Luigistelio Becheri
CREMONA - Sul profilo Linkedin di lui c’è ancora una foto del passato che li ritrae insieme in vacanza in montagna: abbracciati e sorridenti. Lei cremonese, lui veneto, entrambi ingegneri: due anni di relazione ‘normale’ iniziata nel 2021, due mesi e mezzo di convivenza nella casa di lui, da gennaio 2023 al 21 marzo successivo, quando lei ha chiuso la storia ed è tornata a Cremona. Ma lui, «geloso senza motivo», la cercava al lavoro: telefonava in azienda, una volta si è presentato. Temendo di essere licenziata, lei lo ha denunciato alla polizia per stalking.
«Se ho cambiato il numero di telefono? No, io ho bloccato lui. Persone che mi hanno accompagnato sul posto di lavoro? No. La sensazione di essere pedinata? No». Lei ha rimesso la querela. Il motivo lo ha spiegato oggi al pm. «Perché non erano più successi eventi di rilievo o situazioni che mi mettessero allarme».
Ma tra le accuse contestate, rientrano reati procedibili d’ufficio. Ritirare la denuncia non ha evitato il processo all’uomo, che da dicembre scorso ha il divieto di avvicinarsi alla ex: gli è stato messo il braccialetto elettronico (primo caso a Cremona). Per lei, «glielo si può togliere».
Nella storia di una relazione naufragata e finita in tribunale, ci sono anche moltissimi messaggi tra i due. Messaggi recenti, di questa primavera-estate. E «dai quali si capisce che hanno rispetto l’una dell’altro». Ben 106 quelli di lei a lui. Come questo: ‘Serve un progetto di vita’. O quest’altro: ‘Ti faccio solo presente che ti cerco da sabato’.
«Perché ho avuto dei ripensamenti sulla mia reazione esagerata, ma dettata da quello che era successo», ha spiegato l’ex all’avvocato Luigistelio Becheri, il difensore dell’imputato che al giudice ha chiesto di liberarlo dal braccialetto, al termine della testimonianza di lei. Per il legale non c’è più motivo. E non solo perché più di 400 chilometri separano i due. Soprattutto, «tenuto conto del comportamento post factum, dico factum e non post reato, perché il reato non c’è». Anche l’ex è d’accordo: «Per me va bene». Il pm darà il suo parere all’udienza del 21 febbraio 2025.
Nessun rancore nella testimonianza resa oggi dalla donna, anzi: ha ridimensionato alcuni fatti. Si sono conosciuti per lavoro ai primi di aprile del 2021, successivamente si sono messi insieme. A maggio del 2022 si è cominciato a parlare di convivenza nella casa di lui, in Veneto. «Dovevo cambiare vita, mi sono licenziata dall’azienda in cui lavoravo». L’idea era di mettere in piedi una società con il compagno. «La mia azienda mi ha permesso di continuare a lavorare per loro da remoto. Io ho aperto la partita Iva. È stata una mia fortuna».
A gennaio del 2023, «armi e bagagli» lei si è trasferita in Veneto. Una relazione «normale». Il 21 marzo «la lite furibonda», scatenata da un episodio. La miccia, una una gelosia ingiustificata.
«Lui urla, poi andiamo a dormire. Non era ancora tranquillo, c’era ancora questa agitazione molto forte, angoscia. Lui ha dato un calcio al divano e si è fatto molto male alla caviglia. ‘Andiamo al Pronto soccorso?’ Non ha voluto». Una notte «agitatissima: lui aveva male al piede». Al risveglio lei avrebbe voluto voltare pagina: «‘Chiudiamo la lite?’ ‘Andiamo al Pronto soccorso?’. Da lì, parte di nuovo questa rabbia che non si è placata». Lui l’ha accusata ancora di averle mentito. «Mi ha preso i polsi, ma quel livido sotto la mandibola non è colpa sua». Lo ha spiegato, mimando il gesto: si è portata le mani alla gola. «Le mie nocche premevano sulla mandibola».
Durante il litigio, «lui ha lanciato i miei vestiti e le mie cose lungo le scale. Gli ho detto: ‘Adesso me ne vado’. Io raccoglievo le mie cose, le mettevo nella borsa, lui le tirava fuori, le lanciava sul divano o sulle scale. La gonna di pelle? Mi ha detto:‘ Mettila con qualcun altro questa gonna da p...’». «Quindi anche insulti?», ha rilanciato il pm. Lei ha gettato acqua sul fuoco: «Nelle liti si dicono le parole, anch’io qualcuna l’ho detta». Quella mattina, il convivente le ha preso lo smartphone, si è chiuso tra la camera e il bagno. Lei: «Dammi il telefono». Inutile. «Non sapendo più cosa fare, gliel’ho lasciato e sono uscita. Poi ho saputo che aveva telefonato a persone che erano nella mia rubrica».
Storia chiusa, lei è tornata a Cremona. E «lui ha cominciato a telefonare in azienda, a chiedere informazioni». C’è la mail inviata «al mio responsabile» con la richiesta di poter partecipare ad un evento webinar. E la mail all’ad: «Era convinto, a torto, che io avessi avuto una relazione con l’ad. Diceva che si sarebbe attaccato al citofono. Paventava cose che non ha messo in atto. La denuncia? Io ero molto preoccupata, anche perché ero appena arrivata in azienda, non volevo essere licenziata».
«Ha avuto paura per la sua incolumità?». «No: la violenza è stata solo verbale». L’avvocato è tornato ai messaggi che i due si sono scambiati quest’anno: «Il mio assistito è ancora molto innamorato, lo si vede». E sui 106 messaggi di lei, ha premesso: «Non le sto facendo una colpa, ma si vede che lei ha un trasporto emotivo, è preoccupata». «Difficile mettere un punto», ha risposto lei.
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