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CREMONA. FOCUS

Devianza minorile: «Così si esce dal tunnel»

Al convegno Aiaf esperti e avvocati indicano come aiutare genitori e figli. Dialogo decisivo

Francesca Morandi

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20 Settembre 2024 - 21:07

Devianza minorile: «Così si esce dal tunnel»

Tomasetti, Bregoli, Bertuzzi e Gigliotti

CREMONA - Aggressioni, rapine, scippi. A Milano quasi ogni quartiere ha una baby gang. E a Cremona è di oggi la notizia di un minorenne arrestato e dei due complici denunciati per aver estorto denaro a un 50enne disabile: gli uni e l’altro vivono nello stesso quartiere.

La notizia arriva nel giorno del convegno ‘Navigando tra le acque turbolente della devianza giovanile. Comprendere ed affrontare la devianza giovanile in un’indagine multidisciplinare del comportamento deviante tra i giovani, cause, conseguenze e soluzioni’. Lo ha organizzato l’avvocato Chiara Tomasetti, presidente della sezione di Cremona dell’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia (Aiaf). Una riflessione a tutto tondo (nel civile e nel penale) per capire come aiutare i giovani e i loro genitori, attraverso le esperienze di chi ogni giorno è sul campo: Davide Bregoli e Jennifer Bertuzzi, l’uno psicoterapeuta, psicologo specializzato in psicologia forense e dell’età evolutiva, l’altra avvocato di Brescia, componente del direttivo nazionale e Lombardia Aiaf. E Marilena Gigliotti, avvocato, consigliere della Camera penale di Cremona e Crema ‘Sandro Bocchi’, associata alla Camera minorile e per la famiglia di Brescia.

Tomasetti spiega che «le norme hanno fatto molto in diritto di famiglia per avvicinare entrambe i genitori ai figli, ma quello che stiamo notando adesso, è che manca proprio la responsabilità nei confronti dei figli e questo li fa sentire come barche in mezzo al mare, non guidate». Perché «si sta poco in famiglia, si comunica pochissimo. Con i figli, i genitori usano scorciatoie: tablet, tv, film. E, poi, c’è un delegare le decisioni al figlio». Accade nelle separazioni. «‘Che cosa vuoi fare oggi? Vuoi andare dal papà o dalla mamma?’ Se io ho 7 anni, decidi tu mamma o papà, decidete voi dove io devo andare. Il figlio deve avere delle direttive. Non può un bambino, in una situazione di separazione che già è difficile per gli adulti, pensare che i suoi riferimenti non abbiano una decisione, un pensiero per lui. Serve una guida».

Responsabilità, parola chiave. Non a caso, lo sottolineano Tomasetti e i relatori, tra le novità più importanti della riforma del diritto di famiglia del 2014, c’è l’eliminazione del concetto di potestà dei genitori, sostituito con l’altro di «responsabilità genitoriale». «Non esiste il manuale dei genitori», premette Bregoli, che con Bertuzzi lancia un messaggio: «Ascoltate i vostri figli. E in caso di difficoltà, non abbiate vergogna a rivolgervi a chi vi può aiutare». Non solo. I genitori devono riprendersi «l’autorevolezza».

Come aiutare i minori che delinquono? Per Gigliotti «non è solo una questione di responsabilità dei genitori, che sì, in alcuni casi sembrano un po’ deresponsabilizzati. A mio avviso, stiamo affrontando una serie di cambiamenti sociali epocali di trasformazione del territorio. I soggetti più fragili sono i minori. Non sempre c’è dietro una famiglia assente o che non possiede gli strumenti per poter supportare il percorso evolutivo del minore. Spesso, le cause sono di natura sociale, psicologica, culturale». Senza dimenticare «il periodo da pandemia Covid, che ha costretto un po’ tutti a cambiare le nostre relazioni. Se ha colto di sorpresa il mondo degli adulti, figuriamoci quali ricadute possa avere avuto sul mondo degli adolescenti. I ragazzi non sono strutturati, non sono degli adulti, non hanno una personalità definita, non hanno un percorso formativo completo e devono consolidarsi durante quegli anni».

E, quindi, «se incorrono in un errore, in una caduta accidentale o anche intenzionale, vanno comunque sostenuti e aiutati ad affrontare adeguatamente un percorso di recupero e reinserimento sociale». Il faro è l’articolo 27 della Costituzione. «La finalità della pena è essenzialmente rieducativa, a maggior ragione nei confronti di un minore che non ha completato il suo percorso educativo. L’espiazione della pena deve avvenire anche con modalità adeguate e che siano rispettose del soggetto fragile, che sta svolgendo il percorso». Gigliotti richiama il rapporto Antigone del marzo 2024: «Dà conto di un aumento esponenziale della presenza dei minori nelle carceri».

E il decreto Caivano: «Ha ampliato la possibilità agli istituti di pena per minori di trasferire i minori tra i 18 e i 21 anni che creano comportamenti turbolenti, direttamente nelle carceri. Con tutte le conseguenze che possiamo immaginare». Perché «il carcere è un ambiente per il quale il minore non è preparato e nel quale non potrà compiere i percorsi rieducativi e di reinserimento sociale. Conosciamo, poi, i problemi del sovraffollamento carcerario». Dato per scontato che non si giustifica chi compie un reato, se «il codice minorile del 1988 ha dato prova di perfetta efficienza, perché impostava il recupero del minore sui programmi di reinserimento e di rieducazione, dal decreto Caivano in poi, si è assistito ad una inversione di rotta, adottando il paradigma repressivo, prevalente rispetto a quello rieducativo». Ma «il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio». Del Caivano qualcosa si salva. «Ci sono dei vantaggi. Ad esempio, ha previsto una sorta di procedimento anticipato nella fase delle indagini preliminari e solo per reati puniti fino a 5 anni. In questi casi, il pm manda una comunicazione ai genitori del minore con la quale si propongono percorsi di rieducazione e di reinserimento, ai quali il minore deve aderire. Se si persegue l’obiettivo, in questa fase arriverà una pronuncia o di archiviazione o di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto».

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