L'ANALISI
02 Settembre 2024 - 10:12
CREMONA - Se la ‘casa’ è — per dirla con le parole di Papa Francesco — un «luogo di accoglienza, una dimora, un ambiente umano dove stare bene, sentirsi inseriti in un territorio, in una comunità», allora la nuova Comunità Alloggio Sociale Anziani, unità di offerta di Cremona Solidale, inaugurata nel maggio 2024 e intitolata ai coniugi Lodola e Bonetti e alla loro significativa eredità, ne rispetta a pieno i requisiti.
A confermarlo, i destinatari di questo spazio immerso nel verde, dove le tinte rilassanti degli interni abbracciano luminose stanze, singole o doppie, destinate ad anziani parzialmente autosufficienti. In questo luogo, che riflette come ogni dimora che si rispetti la fisionomia unica del suo abitante, le unità abitative spaziano dalle più basiche alle maggiormente personalizzate, di cui un esempio efficace appare l’ariosa stanza singola che accoglie la signora M. Piante, foto di famiglia, e un suo splendido ritratto giovanile (realizzato da un pittore milanese che la notò mentre, a quindici anni, si trovava in coda per il pane presso un esercizio cittadino) ripercorrono la storia di una vita; la sua, trasmettendone ai visitatori l’impronta squisitamente irripetibile.
«Devo l’incontro con questa realtà ad una segnalazione di mio figlio — spiega la signora, accomodandosi sull’elegante poltrona che proviene dalla casa di campagna ove, dopo la morte del marito, visse autonomamente per lunghi anni —. Mesi fa mi invitò infatti ad interessarmi a questa esperienza innovativa, che a Cremona Solidale era divenuta attiva da poco. Ma volle anche rassicurarmi: ‘Mamma, stanno inaugurando una nuova realtà destinata agli anziani che desiderano collocarsi in un contesto protetto. Ma non si tratta di un ospizio’. Decisi di visitarla in prima persona: rimasi favorevolmente impressionata dai suoi vasti corridoi, dai colori limpidi, dalle stanze spaziose, dalla premura e dall’umanità del personale in servizio. E così, stabilii di fare un tentativo. Oggi, da oltre un mese, risiedo presso la Casa. E sono convinta di aver compiuto la scelta — per me e per chi mi vuole bene — più adeguata possibile».
Casa, luogo di vita, di esperienze e di socialità, conta attualmente (insieme all’unità Aidia e Luciano Somenzi, ex Comunità Duemiglia) 25 posti letti collocati, presso Cremona Solidale, al primo piano del palazzo storico riqualificato, con bagni privati attrezzati, sale polifunzionali, un locale lavanderia ed una zona cucina utilizzabile in piena autonomia. Tra i vantaggi connessi al passaggio dalla vita autonoma a quella presso la nuova Comunità Alloggio di Cremona Solidale, su cui la signora M. pone l’accento, «il maggiore senso di sicurezza, la possibilità di avvalersi di una assistenza diurna e notturna ed una routine maggiormente regolata (poiché alle volte, vivendo in solitudine, sua abitudine era divenuta, per esempio, quella di ‘saltare la cena’ concedendosi, al massimo, una tazza di latte).
«Fondamentali, inoltre — spiega — anche la serenità regalata ai miei figli, mai stati così assidui nel venirmi a fare visita, nonché sollevati nel sapermi inserita in un luogo in cui posso essere accudita prontamente, in caso di necessità». Ma anche, perché no, «le nuove amicizie. Perché qui, a discapito degli stereotipi connessi alle strutture per anziani, si incontrano invece anche molte persone dalla mente attiva, con cui condividere con leggerezza la propria giornata. Come la signora A., per esempio: con lei, residente, è già nata una splendida amicizia».
E tra gli attuali ospiti della Casa c’è anche chi, però, il suo incontro con Cremona Solidale lo fece già tempo addietro, nelle vesti di caregiver. È il caso di un signore, che per lungo tempo rimase accanto alla moglie, compagna di una vita ed accolta, a Cremona Solidale, presso il Nucleo Alzheimer. «Nonostante il dolore naturalmente connesso ad una esperienza assistenziale di tale calibro, in questi luoghi, ho scoperto il mondo meraviglioso che può celarsi anche dietro la malattia; un mondo fatto di infinita ricchezza, di solidarietà, di compassione — racconta il signore —. Ciò che ci tengo a ricordare, infatti, è che in queste strutture ho sempre incontrato un mare di amore e di bontà grazie al personale dedicato, contraddistinto da una umanità profonda. E forse, anche da qualcosa in più». Da una vocazione alla cura vera e propria.
«Come trascorro le mie giornate, oggi, qui alla Casa? (il sorriso arguto del signore illumina i suoi occhi chiari). Ricevo visite. Mi confronto. Rifletto. Scrivo. Mi interesso ad ogni cosa: mi è sempre piaciuto definirmi l’uomo ‘degli aforismi’; tanto è vero che spesso, in questa forma breve, traduco anche i miei pensieri. Oppure, leggo. Di recente, per esempio, mi sono dedicato ad Anna Karenina: gli scrittori russi mi affascinano poiché i loro romanzi finiscono per assumere, il più delle volte, una direzione differente da quella che ci si era immaginati all’inizio. Proprio come accade per la nostra vita». Ma lo stereotipo che gli ospiti della Casa evadono con maggiore evidenza, oggi, è proprio quello dell’età anziana come fase dell’esistenza inevitabilmente ‘luttuosa, stanca, rassegnata’, pervasa da un senso angosciante di avvicinamento ‘al fine vita’. Perché sebbene da prospettive differenti, infatti, sia la signora M. che il signore concepiscono quel passaggio a cui ciascuno di noi è, d’altro canto, invariabilmente destinato, con notevole serenità.
«Sono un buon cristiano momentaneamente non credente — conclude infatti il signore —. Ma in tal senso, non voglio essere frainteso: mi confronto volentieri con uomini e donne di fede, ma il più delle volte, mi persuado anche che l’uomo sia Dio di sé stesso. Tuttavia, di una cosa rimango invece convinto: che l’amore, se sappiamo accoglierlo, ci salva. Quello per mia moglie, per esempio, durante la sua dura malattia, mi ha condotto ad isolarmi dal resto del mondo per accudirla, ma mi ha anche donato la vita, di cui, oggi, usufruisco ancora. Non mi piace che si dica che ‘è scomparsa’. Nessuno di noi scompare davvero. Rimaniamo nel cuore di chi ci ha amato per sempre».
La signora M., invece, non ha dubbi. «Non temo quello che verrà, semplicemente perché nulla può finire — confessa, con un sorriso —. Quando mio marito era in vita sedevamo, per guardare la televisione, su due poltrone vicine, con i braccioli accostati: così facendo, la sua mano si posava sempre sulla mia. Ed oggi, anche qui, anche su questa poltrona, quel dolce contatto torna a farsi, talvolta, fugacemente sentire. E a questo punto, poco importa in che ‘casa’ io sia. In quella casa lui è con me».
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