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IL PUNTO

La violenza il rifugio degli incapaci

A dare lo spunto per questa riflessione sono due storie raccontate sul giornale di ieri. Un giorno qualunque. Non sono certo fatti isolati, ma accomunati da un orribile convincimento: io sono ‘padrone’ della donna, faccio quello che voglio contro di lei e con chiunque attenti al mio diritto di possesso

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

18 Agosto 2024 - 05:30

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Bagnolo Cremasco: un 41enne finisce in carcere per scontare quattro anni in seguito alla condanna definitiva per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. I giudici hanno stabilito che per sei anni, dal 2016 al 2022, ha maltrattato e umiliato sua moglie. Una vita da incubo, finché lei ha trovato il coraggio di denunciarlo. Genova: un 13 enne ha accoltellato un ragazzino di un anno più grande, ‘colpevole’, a suo dire, di aver messo un ‘like’ a una foto social della sua ex fidanzatina. Il ferito è stato subito soccorso e medicato in ospedale e non è mai stato in pericolo di vita, fortunatamente. Ma resta lo stordimento per un’azione tanto violenta da parte di un giovanissimo convinto di essere il legittimo ‘proprietario’ di una ragazzina con la quale, peraltro, comunque non stava più.

Due storie, una vicina a noi e l’altra geograficamente lontana, agli antipodi per l’età dei protagonisti ma accomunate da un orribile convincimento: io sono ‘padrone’ della donna, faccio quello che voglio contro di lei e con chiunque attenti al mio diritto di possesso.

La triste analisi di questi fenomeni, riuniti in una sorta di archivio del terrore, ci dice chiaramente che ad armare le mani criminali non sono raptus del momento, ma la certezza che lei è una cosa, una cosa tua, e pertanto puoi decidere che lo deve rimanere per sempre, costi quel che costi. È davvero incredibile che a pensarla così possa essere anche un 13enne. Viene da chiedersi che ‘aria’ respiri in famiglia, che valori gli vengano insegnati. Fin troppo facile puntare il dito contro i genitori, errore da non fare senza conoscere esattamente l’ambiente in cui è cresciuto. I cattivi maestri e gli avvelenatori di pozzi si possono trovare anche in altri contesti.

Resta il fatto che a dare lo spunto per questa riflessione sono due storie raccontate sul giornale di ieri. Un giorno qualunque. Non sono certo fatti isolati: le cronache sono talmente sature di episodi simili che a volte ci sembra di raccontarli dovendo impiegare la fotocopiatrice, tanto si ripetono per contenuto e motivazioni. Uno stillicidio quotidiano, se pensiamo che in provincia di Cremona, da inizio anno, i soli carabinieri hanno portato avanti 23 indagini per violenza di genere, con la conseguente applicazione di 22 braccialetti elettronici e di decine di provvedimenti di allontanamento dalla casa famigliare piuttosto che di divieti di avvicinamento dai luoghi frequentati dalla persona offesa e vittima di maltrattamenti contro famigliari e conviventi. Solitamente, l’anello debole della catena, cioè la donna e i bambini. Vittime di atti persecutori che, per bene che vada, ne condizioneranno l’esistenza quando non ne metteranno addirittura a rischio la vita.

È solo la punta dell’iceberg, però. Oltre ai carabinieri sono impegnati nella lotta alla violenza di genere anche le altre Forze dell’Ordine. Riferendosi ai dati relativi ai ‘codici rossi’, il questore Michele Davide Sinigaglia nella conferenza stampa di fine anno aveva parlato di «un 2023 molto impegnativo», con «il numero di fascicoli relativi al Codice rosso, trattati dalla Polizia di Stato e dalla Squadra Mobile in particolare, letteralmente raddoppiato». Vale a dire 98 fascicoli le cui indagini hanno portato in 22 casi all’adozione di misure cautelari. La violenza di genere è commessa quasi solo dai maschi. Sono loro a dover essere educati a un concetto molto semplice: la violenza è davvero l’ultimo rifugio degli incapaci. In famiglia e a scuola va loro spiegato che le donne sono persone autonome, che possono cambiare idea, smettere di amarli per innamorarsi di un altro, che possono essere più in gamba di loro, che non c’è nulla di umiliante ad essere lasciati. E alle donne, cioè alle vittime, non si deve mai smettere di chiedere di coltivare il coraggio della libertà.

Coinvolgente e allo stesso tempo delicato un passaggio del romanzo ‘Magnifico e struggente stava l’amore’ della poetessa Maria Grazia Calandrone, dedicato a un caso di cronaca nera che ebbe molto risalto nell’Italia di inizio millennio: Luciana Cristallo uccise con 12 coltellate l’ex marito Domenico Bruno dopo vent’anni di soprusi e violenze, finendo poi assolta per aver agito per legittima difesa. Nel suo viaggio, doloroso ma necessario a comprendere le radici della tragedia, la scrittrice scrive: «Oltre alla paura, Luciana prova una vergogna grande, raramente confida quello che accade dietro i muri opachi della propria casa, che ora è terra di spavento, bile e risentimento. Quando è costretta a chiedere aiuto , dice solo lo stretto indispensabile. Se racconta, vede il fallimento. Dalla lontananza tra il suo sogno di ragazzina in fiore di gelsomino e la realtà delle fughe notturne per sottrarsi alle mani del marito, nasce la vergogna. Si vergogna ogni volta che deve chiedere ospitalità a un’amica. Si vergogna ogni volta che i fratelli devono andare a recuperarla in mezzo alla strada. Ma soprattutto si vergogna ogni volta che viene picchiata. Che terribile immagine di sé. La vergogna martella più dei colpi. preferisce sperare che finisca, che alla fine Domenico smetterà di essere così arrabbiato... perché, quando Domenico si calma e ha gli occhi buoni di sempre, Luciana vede ancora quel ragazzo sbruffone col ciuffo sugli occhi che le rubava il sonno. E poi, negli anni, il volto gli si è raddolcito, è quello di un padre. In fondo lui fa il duro, crede di essere il più furbo di tutti, ma sotto sotto si sente perso. Senza di lei, lui niente».

Scrive ancora: «Torniamo alla domanda delle domande. ... È veramente vero che, al primo sguardo, sappiamo sempre e immediatamente cosa aspettarci dall’altro?... Perché Luciana, dopo ogni violenza sceglie ancora Domenico, non se ne va?». Ecco: per far vincere la vita, è meglio non soccombere alla vergogna. Perché i suoi occhi la prossima volta torneranno a essere quelli della violenza.

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