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Bona: «Lavoro al rilancio delle collezioni»

Il neo assessore alla cultura traccia i prossimi impegni. La manutenzione ordinaria importante come la comunicazione

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

14 Agosto 2024 - 05:15

Bona: «Lavoro al rilancio delle collezioni»

CREMONA - Camicia bianca, tono pacato, Rodolfo Bona, neo assessore alla Cultura dell’amministrazione Virgilio, ormai alla vigilia di Ferragosto è in servizio, impegnato a immaginare e a progettare il ruolo del suo assessorato nella città di Stradivari e Monteverdi, ma anche dei Campi, di Sofonisba Anguissola, del Piccio e del Novecento artistico, laddove palpita il suo cuore.

Nella città che punta su musica, lirica e liuteria, e in cui agiscono soggetti particolari e dedicati come, fra altri, Fondazione Ponchielli e Fondazione Stradivari, quale può essere il ruolo del suo assessorato?
«Credo che il compito dell’assessorato alla Cultura sia quello di essere un facilitatore — oltre che propositore — sia rispetto alle prospettive nazionali e internazionali che aprono liuteria e musica, pensando all’Unesco, sia rispetto alla valorizzazione del sistema città. Con la consapevolezza che la comunità deve avere delle sue tradizioni artigianali e artistico culturali. E non dimenticando che su questi temi c’è un lavoro, quello garantito dalle precedenti amministrazioni, che dura da anni e che ha dato eccellenti risultati».

A proposito di sistema: il cuore e la sede dell’assessorato è a palazzo Affaitati e ha nel sistema museale il suo core business. Un sistema in cui i musei viaggiano a diverse velocità.
«Il sistema museale cittadino conta sei musei, sette con il Museo verticale del Torrazzo. Quattro sono civici, mentre il Diocesano e il Museo del Violino hanno una loro autonomia rispetto all’amministrazione comunale».

Sono anche le due realtà che performano meglio in termini di presenze.
«Il Museo del Violino ha certo un appeal, che collima con l’esclusività e la qualità della tradizione liutaria. Il Diocesano è una novità importante e con caratteristiche determinate e immediatamente individuabili. Entrambi qualificano la proposta museale cittadina. Questi aspetti ci devono far pensare a un rilancio di immagine delle collezioni civiche, soprattutto verso l’esterno. È questo un aspetto su cui interrogarci, ma che non può essere disgiunto dalla struttura in cui ci troviamo».

Cosa intende dire?
«Ci sono due piani su cui intendo agire per ridare smalto a Palazzo Affaitati, la sede della nostra pinacoteca, un museo ricco, articolato e che merita di essere fruito al meglio. I progetti a breve termine riguardano gli investimenti strutturali sulle coperture, quelli necessari a climatizzare adeguatamente le sale e a ripensare l’illuminazione: sono in corso, come ad esempio sulle Stanze della musica che hanno bisogno di una climatizzazione ad hoc. E penso al problema dei piccioni lungo lo scalone».

E i progetti a lungo termine?
«L’orizzonte è quello di un ampliamento e ripensamento della struttura, inglobando palazzo Soldi. So bene che si tratta di un percorso lungo, che andrà oltre questo mandato. È un argomento su cui si è più volte tornati: lo ha fatto il mio predecessore, Luca Burgazzi. La mia intenzione è quella di arrivare a un progetto complessivo, anche attraverso un concorso di idee e immagino un bando internazionale. Tutto questo a condizione di individuare le risorse necessarie, magari prevedendo il frazionamento dell’intervento».

Si lamenta la mancanza di uno spazio espositivo ad hoc. E c’è chi ha nostalgia degli anni delle grandi mostre.
«Due aspetti correlati, ma che devono essere letti separatamente. I tempi sono cambiati. Oggi siamo impegnati in una serie di rilievi che riguardano la stabilità delle volte di Santa Maria della Pietà. L’idea è quella di poter recuperare l’ex chiesa come spazio espositivo. La questione delle grandi mostre emerge periodicamente. Ma bisogna trovare anche il modus per immaginare qualcosa che abbia senso esporre».

La sua esperienza nell’organizzazione di mostre, come ad esempio quella sul Premio Cremona o quelle dedicate ad Alceo Dossena e poi all’arte fascista, con Vittorio Sgarbi al Mart di Rovereto, può essere una risorsa?
«Non sta a me dirlo, ma certo queste esperienze mi hanno insegnato che dietro un’esposizione ci deve essere una buona idea, un senso, un significato che riguarda innanzitutto la città e i suoi abitanti, ma non si può prescindere dall’occuparsi del marketing e della comunicazione, che hanno un ruolo determinante nella riuscita delle iniziative. Con costi che vanno attentamente valutati in relazione agli obiettivi».

Sembra di capire che l’età delle grandi esposizioni sia finita.
«Lo è da anni. Bisogna lavorare in sinergia, cercando un senso che possa coinvolgere sia chi vive la città, sia chi viene da fuori, possa essere un motivo di riconoscibilità all’esterno e per la comunità».

Vengono in mente le ricerche portate avanti dal professor Frangi su Massarotti o Panfilo Nuvolone...
«La presenza di una personalità come Frangi presso il Dipartimento di Beni Culturali è una risorsa, così come lo è quella di Sara Fontana per la storia dell’arte del ‘900. Quella sinergia di intenti e di studio con l’università si è espressa in occasione della mostra sul Genovesino o sulla mostra dedicata al Premio Cremona. Condividere idee e progetti, questo mi pare il percorso da fare: sia a livello cittadino che negli organismi preposti all’amministrazione, dal coinvolgimento delle diverse anime della rappresentanza politica e culturale, alla valorizzazione innanzitutto del ruolo delle commissioni consiliari. Solo così un sistema museale e un sistema culturale possono diventare un sistema che interpella la città tutta e la rappresenta».

E concretamente come si traduce?
Sorride: «Ho ricevuto in eredità la mostra che in autunno proporrà gli interventi della scuola di restauro di Botticino su pezzi, spesso mai esposti, delle nostre collezioni e la retrospettiva dedicata a Franca Baratti, con opere della sua donazione. Ma l’idea è quella di valorizzare, oltre che conservare le nostre collezioni e operando in questa direzione, di farle conoscere e riscoprire. Inoltre, sono in programma interessanti mostre al Museo archeologico e attualmente è in corso l’esposizione al Museo di storia naturale curata dal Laboratorio del cotto- dedicata alla Fornace Frazzi; in quell’area è previsto un nuovo spazio espositivo. In quel senso, e in quella prospettiva, il lavoro prezioso e qualificato dei nostri conservatori è estremamente significativo».

Il patrimonio della collezione Ala Ponzone è importante: i depositi sono un tesoro, tutto da valorizzare.
«Un tesoro conosciuto, dagli addetti ai lavori, e conservato con attenzione e consapevolezza. Le possibilità di far conoscere questo patrimonio ci sono. Penso ad esempio all’importanza della pittura o della scultura cremonese del XX secolo, un tema, quest’ultimo, che potrebbe essere indagato e che potrebbe riservare sorprese».

Fra le iniziative portate avanti in questi dieci anni c’è la formula della cultura partecipata: una formula da mantenere?
«L’iniziativa della cultura partecipata ha permesso di far crescere e far conoscere un tessuto associativo di tipo culturale molto vivo. Si tratterà di considerare come agire, come migliorare o adeguare ai tempi quella formula, fatto salvo che la partecipazione è un punto imprescindibile, insieme alla qualità della proposta. Ciò si lega all’azione di ascolto e incontro che l’amministrazione porterà avanti con tutti».

Per la passata amministrazione è stato senza dubbio uno smacco non essere riusciti ad avere la denominazione di Capitale della cultura: ci ritenterete?
«Non si tratta di tentare. Bisogna costruire la consapevolezza diffusa di avere le forze, le idee e la coesione di tutto il sistema cremonese per raggiungere gli obiettivi prefissati, su questa come su tutte le partite strategiche. Sono questi i presupposti che ho condiviso con il sindaco e che ha sottolineato anche il presidente del consiglio comunale al momento del suo insediamento; i risultati si costruiscono nel dialogo con tutte le parti, un dialogo necessario e prezioso se l’obiettivo è il bene della città e della sua comunità».

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