L'ANALISI
08 Agosto 2024 - 05:25
CREDERA RUBBIANO - Sono rimasti bloccati per 58 ore in aeroporto. Ma «il tempo perso è di per sé impalpabile». Il disagio, il fastidio, lo stress sono danni «futili» e, quindi, «non risarcibili». Insomma, niente risarcimento se il danno non patrimoniale non viene dimostrato.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha dato torto a marito e moglie di Credera, protagonisti di una odissea. Prima all’aeroporto di New York, nel 2015. Poi, giudiziaria: una odissea che ha attraversato tre gradi di giudizio con la American Airlines portata in tribunale dalla coppia, denunciando la compagnia aerea di averla abbandonata per più di due giorni «senza alcuna assistenza e informazione». La Cassazione ora ha messo una pietra tombale. La motivazione della sentenza (19 pagine) è stata depositata il 26 luglio scorso.
L'ODISSEA INIZIA NEL 2015
Anno 2015, 5 marzo. Marcello Di Dio e sua moglie Serena sono in aeroporto. Attendono il volo per Las Vegas. Da qui sarebbero rientrati in Italia. Cinquantotto ore di attesa, volo cancellato. La coppia fa causa alla compagnia aerea. Nel 2017, un giudice le dà ragione. È il giudice di pace di Crema che accoglie parzialmente la domanda risarcitoria, condannando per «il grave ritardo» la American Airlines a risarcire i coniugi con 3.788 euro a testa.
IL RICORSO E LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI CREMONA
Ma contro la sentenza, la compagnia aerea (è assistita dall’avvocato Massimo Giordano) fa ricorso al Tribunale di Cremona (secondo grado di giudizio) che ribalta il verdetto (la sentenza viene depositata il 28 novembre del 2018). Il giudice dell’appello conferma la responsabilità di American Airlines con riferimento al grave ritardo – 58 ore – del volo New York-Las Vegas denunciato dalla coppia. Ed esclude che la compagnia aerea abbia fornito la prova che il ritardo fosse dovuto a causa di forza maggiore (maltempo). Ma accoglie i motivi dell’American Airlines sul presupposto che i passeggeri «non abbiano fornito la prova del danno patrimoniale e non patrimoniale». E dispone che i coniugi restituiscano «al vettore statunitense» le somme loro versate.
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Contro la sentenza di Cremona, marito e moglie ricorrono in Cassazione. Ma Roma rigetta il ricorso, sposando le argomentazioni del giudice di Cremona. Non si tratta di un inadempimento contrattuale.
LA CONVENZIONE DI MONTREAL E IL REGOLAMENTO CE
Punti chiave sono la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 e il Regolamento Ce del 2004. Nella motivazione della sentenza (presidente Giacomo Travaglino, relatore Lina Rubino) la Cassazione precisa che il Regolamento Ce «non si applica, non facendo evidentemente, gli Usa parte dell’Unione europea». Si applica, dunque, la Convenzione di Montreal.
IL DOVERE DI PROVARE IL DANNO
Per gli ermellini «non è corretta» la ricostruzione proposta nel ricorso dall’avvocato della coppia, secondo cui «il danno, in caso di ritardo nel trasporto aereo internazionale in una fattispecie regolamentata dalla Convenzione di Montreal, non debba essere provato. Al contrario, il danno deve essere provato, secondo i principi del nostro ordinamento interno, cui la Convenzione rimanda». Osservano gli ermellini: «Il tempo perduto è di per sé un bene impalpabile in assenza di alcun riferimento a ciò che in quel segmento temporale (58 ore, ndr)» marito e moglie «avrebbero potuto fare e che invece non hanno fatto e/o a ciò che avrebbero potuto evitare di fare e che invece sono stati costretti a fare».
I MOTIVI DEL RICORSO RIGETTATO
Nei motivi del ricorso rigettato, la coppia non ha dimostrato il pregiudizio e il danno (lucro cessante e/o danno emergente). Marito e moglie, come aveva stabilito il giudice di Cremona, «si sono limitati a dedurre un generico ‘disagio’ o ‘stress’ da forzata e insopportabile attesa». Ma «i meri disagi o fastidi» sono «un danno futile».
LE CONCLUSIONI DELLA CASSAZIONE
La Cassazione conclude che marito e moglie «non hanno neppure provato ad argomentare in ordine al possibile ricorso al ragionamento presuntivo, mediante il quale ricavare che l’essere rimasti bloccati per 58 ore in un aeroporto di un paese diverso dal proprio, senza ricevere assistenza, non costituisca un mero fastidio per il viaggiatore, ma una limitazione apprezzabile della sua libertà di circolazione e di movimento che gli sottrae la possibilità di disporre del proprio tempo, né gli stessi hanno allegato di aver, in ragione del prolungarsi dell’attesa, perso l’occasione dello svolgimento di attività rilevanti». In conclusione, marito e moglie «si sono limitati a criticare» la sentenza del giudice di Cremona «senza chiarire perché, nel loro caso, sussistessero le condizioni perché il ritardo si traducesse in un danno non patrimoniale risarcibile».
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