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LE STORIE DI GIGIO

In fuga dal regime talebano, operaio modello a Calvatone

Beshir, 37 anni, rifugiato politico, era fra i primi evacuati nel 2021 con un volo diplomatico italiano

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

05 Agosto 2024 - 05:20

In fuga dal regime talebano, operaio modello a Calvatone

Beshir Ahmad Faizi, 37 anni, con le referenti dei Progetti Sai, Mestieri Lombardia e Imbal Carton

CREMONA - Si è salvato lasciando il suo Paese ripiombato nella violenza e nell’intolleranza, è giunto in Italia con tutta la sua numerosa famiglia, ha un tetto e un posto sicuro, i vicini gli vogliono bene e i colleghi lo stimano. Ha anche preso la patente. Sì, forse sarà stato più fortunato di altri connazionali, ma la fortuna se l’è meritata conquistandola con le unghie e con i denti. Beshir Ahmad Faizi, 37 anni, rifugiato politico afghano, è la prova che l’accoglienza e l’integrazione non sono parole vuote o retoriche, ma possibilità concrete.


«Sono nato in una città che avete imparato a conoscere: Herat», racconta. Aveva appena undici anni quando si scatenò la prima ondata dei talebani con le loro imposizioni, compresa quella per i bambini come lui di indossare il turbante. Ha comunque potuto frequentare sino ai 18 anni la scuola di elettronica. «Dopo l’11 Settembre, nel 2005 ho iniziato con mio fratello a lavorare come elettricista presso la locale base Nato, in un settore gestito dall’esercito italiano. Mi occupavo della manutenzione dei condizionatori e dei frigoriferi. Mi trovavo bene, è lì che ho imparato la vostra lingua». Ma nel 2021 gli americani e i loro alleati decisero di uscire precipitosamente dall’Afghanistan abbandonando la popolazione al suo destino. I talebani, ripreso il potere, davano la caccia a chi aveva collaborato con gli occidentali. Beshir era nel mirino, si sentiva in pericolo.


«Un generale mi ha chiesto se volevo andarmene con lui e i suoi soldati. Certo, gli ho risposto. Mi sono subito recato a Kabul dove mi è stato rilasciato il visto d’ingresso per l’Italia». È stato incluso nel primo gruppo di persone evacuate su un nostro volo diplomatico. Con lui la moglie Aisha, 32 anni, e i cinque figli: Mustafa, Zainap, Muslin, Zinat e Islail, rispettivamente 13, 9, 8, 5 e 4 anni. Tre maschi e due femmine. Un suo amico doveva partire con l’aereo successivo, ma è morto nel sanguinoso attentato, rivendicato dall’Isis, all’esterno dello scalo.


«Siamo atterrati in Qatar e saliti su un altro apparecchio. Poi lo sbarco a Roma, lo spostamento di una settimana a Bolzano per la quarantena Covid e, infine, la tappa a Cremona, dove siamo rimasti per circa un anno. In seguito io e i miei familiari siamo stati destinati in Calabria, in un piccolo paese». Ma non essendoci opportunità di lavoro, il Sai (il Sistema costituito dalla rete degli enti locali che realizzano progetti di accoglienza integrata) li ha trasferiti a Calvatone.

Beshir con i colleghi


«La gente del posto è buona. I miei figli vanno tutti a scuola o all’asilo, invitano a casa i loro compagni, parlano l’italiano anche quando siamo solo tra di noi e lo sanno meglio di me». È stato meno semplice per la moglie: analfabeta anche nella sua lingua madre, ha necessità di frequentare più corsi di alfabetizzazione, organizzati dal Sai del Comune di Piadena Drizzona e dai volontari. Lo stesso Sai, con la sua équipe multidisciplinare, ha aiutato Beshir a migliorare il suo italiano scritto e lo ha fatto accedere al corso di carrello elevatore/muletto per dargli maggiori possibilità di avere un lavoro. Era la cosa che il profugo cercava con determinazione e che alla fine ha trovato presso la Imbal Carton di Drizzona, produttrice di imballaggi in cartone ondulato. L’azienda, da sempre attenta alle tematiche sociali, ha avviato quattro percorsi di inclusione e uno di questi è stato trasformato in un’assunzione a tempo indeterminato. Quella, appunto, di Beshir.


«Per noi è una risorsa preziosa, apprende rapidamente e con grande facilità», dice, con orgoglio, Laura Farina, manager dell’impresa. L’operaio straniero, inquadrato come manutentore, si reca in ditta su una bicicletta elettrica e non si è mai presentato in ritardo. Per la sua sensibilità la Imbal Carton ha ricevuto dall’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, il prestigioso riconoscimento Welcome. Un premio che va condiviso con Mestieri Lombardia-sede di Cremona (l’agenzia di lavoro promossa dal Consorzio Solco), i progetti Sai del Comune di Piadena Drizzona e l’intero territorio: hanno avuto tutti un ruolo fondamentale.

Beshir con la famiglia


A Herat sono rimasti la madre, due fratelli (altri due sono in Germania) e due sorelle di Beshir. Le notizie che arrivano continuano ad essere allarmanti. «Quando escono le donne sono costrette a portare il burqa, i bambini non vanno a scuola, gli ospedali non funzionano, le fabbriche vengono chiuse. Non ci sono più ingegneri, maestri, professori e medici giovani. È impossibile espatriare. E, secondo me, la situazione peggiorerà». In futuro il coraggioso afghano potrà richiedere la cittadinanza italiana, ma nell’attesa insegue un altro sogno. «Sto cercando una nuova abitazione».


Ma è difficile, non si affitta agli stranieri nonostante lui abbia un contratto a tempo indeterminato. Il canone e le utenze dell’alloggio attuale sono pagati dal Sai, ma ancora per poco perché il progetto sta scadendo. Da qui la necessità di un’altra sistemazione, stavolta a carico dell’inquilino. «È specialmente in quei momenti che provo nostalgia per la mia famiglia laggiù. Ecco qualche foto della casa dove vivevo: è bella, grande, piena di tappeti antichi». Naturalmente, adesso Beshir si accontenterebbe di molto, molto meno. È l’ultimo, essenziale tassello che manca per un’accoglienza e un’integrazione realmente complete.

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