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CREMONA FOR KENYA

Scuola a rischio chiusura: la generazione Z in piazza

Aumentano prezzo del pane e povertà, dilaga la violenza. La don Mazzolari era stata inaugurata nel 2021

Mariagrazia Teschi

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mteschi@laprovinciacr.it

16 Luglio 2024 - 05:15

Scuola a rischio chiusura: la generazione Z in piazza

CREMONA - A Mambrui, 18 chilometri a nord di Malindi, in Kenya, come in molte zone del mondo, la scuola non è solo il luogo deputato all’educazione, ma anche il posto in cui si assicura a bambini e adolescenti almeno un pasto quotidiano e li allontana da abusi e sfruttamento, in Kenya piaghe pesantissime.

Quella scuola di Mambrui, intitolata a don Primo Mazzolari, costruita mattone dopo mattone grazie alla generosità dei cremonesi e dell’associazione Cremona for Kenya, rischia oggi la chiusura. Sul Paese aleggia lo spettro della guerra civile, nelle povere case del villaggio un altro spettro, altrettanto temibile, quello della fame e della mancanza d’acqua, aggiungono tragedia a tragedia.

Anche in una condizione di normalità, gli adulti raramente riescono a guadagnare il necessario per sopravvivere e molti genitori dei bimbi di Mambrui vivono sotto la soglia di povertà. Così quel diritto all’educazione raggiunto con le unghie e con i denti dalla delegazione cremonese nel corso degli anni, corre il rischio di essere vanificato.

Il grido d’allarme arriva da Licio D’Avossa, presidente di Cremona for Kenya, l’associazione che da un ventennio dà un’istruzione ai bimbi indigenti, finora già parecchie centinaia. «Giorni drammatici quelli appena trascorsi nel Paese africano, segnati dalle violente manifestazioni di protesta contro la finanziaria: tutto ciò avrebbe pesato ulteriormente sulle spalle di un popolo che per la stragrande maggioranza si può definire povero e misero, dove la sopravvivenza è il pensiero quotidiano.

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Licio D'Avossa

I kenyani, di solito miti e obbedienti, questa volta, con mia grande sorpresa — aggiunge D’Avossa — si sono ribellati e giustamente. È la generazione Z che si ribella ai soprusi che i loro genitori e prima i nonni hanno subito. Se non si lavora, non si sopravvive. Dai venditori ambulanti alle donne delle pulizie, dai piccoli artigiani ai lavoratori edili, sono tutte persone che in questi giorni difficili in cui si sfiora la guerra civile sono usciti in strada sfidando il governo del presidente Ruto».

C’è un’immagine, specchio della disperazione, che mostra un giovane manifestante portare sulla schiena un cartello che dice: «Se muoio durante la lotta dite a mia madre che ho fatto del mio meglio». Quel ragazzo si chiama Edet, è cresciuto alla scuola di Mambrui, e qui formato la sua coscienza civile.

«Ho sempre insegnato ai ‘miei’ bambini a non cadere nell’errore di subire. Scegliere il silenzio per non aggiungere conflitto a conflitto non è la strada giusta. Oggi sono cresciuti, sono ragazzi e ragazze, uomini e donne. Che siano scesi in piazza a protestare contro l’aumento della tassa sul pane — e pane significa sopravvivenza — mi riempie di orgoglio».

A Mambrui e in tanti villaggi africani scuole e asili hanno già dovuto chiudere a causa degli scontri violenti, la sicurezza degli scolari non è più garantita. «Così i bambini rimarranno indietro, accumuleranno lacune nell’apprendimento, abbandoneranno gli studi. Una previsione drammatica», spiega Halina, una delle insegnanti. Che aggiunge: «Se chiuderà anche la scuola intitolata a don Mazzolari sarà la nostra sconfitta e la vittoria della prepotenza del governo».

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