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CREMONA

Dieci anni di maltrattamenti, la madre indiana condannata

Tre anni e sei mesi di reclusione e 12mila euro di risarcimento alla figlia, che ha subito imposizioni e botte per un decennio prima di ribellarsi a un matrimonio combinato e andarsene di casa

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

25 Giugno 2024 - 17:24

Dieci anni di maltrattamenti, la madre indiana condannata

Il tribunale di Cremona

CREMONA - Quando è diventata maggiorenne, ha rotto i ponti con la famiglia, è andata in una casa protetta. Ha avuto il coraggio di ribellarsi a un matrimonio combinato in India, imponendosi sulla scelte che la madre aveva fatto per lei. Ma a quale prezzo? Dieci anni di divieti e di imposizioni: niente università, niente svaghi, niente amici. E poi, gli schiaffi, i colpi presi con il mattarello, il bastone e un mestolo bollente. Pur definendo «incresciosi gli episodi» contestati alla madre, «fatti che ci fanno accapponare la pelle, molto lontani dalla nostra cultura», la difesa ci aveva provato a inquadrarli «nel contesto culturale indiano. Certo, un’ombra culturale pesantissima».


Maltrattamenti, per l’accusa e per il tribunale: la madre oggi è stata condannata a 3 anni e 6 mesi di reclusione e a risarcire la figlia, parte civile, con 12mila euro. Entro 90 giorni, il sarà depositata la motivazione della sentenza. Tre anni e due mesi li aveva chiesti il pm Francesco Messina, che nella requisitoria aveva ritenuto «molto convincenti, circostanziate, dettagliate», le dichiarazioni rese dalla ragazza. Dichiarazioni confermate dai testimoni», i compagni di scuola, la bidella e l’amica del cuore. E, ancora, «dichiarazioni che tutte insieme compongono un quadro probatorio molto solido contro l’imputata che non si è difesa: non ha portato testimoni, non si è fatta esaminare».


Il pm ha ripercorso «i fatti piuttosto gravi nel tempo, i «comportamenti abituali e non occasionali» della madre sulla figlia. Una ragazzina che alle superiori, quando rincasava da scuola, era costretta a mettersi ai fornelli, a cucinare per la famiglia (padre, madre e due fratelli), a pulire, rassettare. Era costretta studiare di notte o ad alzarsi alle 5 del mattino per fare i compiti. Una brava studentessa, il cui desiderio era di «andare avanti negli studi», prendersi la laurea e la vita in mano, senza costrizioni.


Ha ripercorso i maltrattamenti, il pm. La madre che ha preso la figlia a schiaffi e per i capelli, le ha lanciato sul volto una chiave inglese oppure l’ha colpita con un bicchiere di vetro, le ha bruciato il braccio con un mestolo incandescente. «Graffi escoriazioni. Ci sono state diverse aggressioni fisiche, ma anche vessazioni». Alle superiori, la madre ha impedito alla figlia di partecipare alle attività extrascolastiche, obbligandola di giorno a fare i lavori domestici, le impediva di usare lo smartphone. Il pm ha ripercorso le testimonianze.

Quella della bidella: «In certe famiglie è una colpa essere femmina. La vedevo con una sua compagna, era sempre triste. Io, da mamma, le facevo una battuta: ‘Avete la vita davanti, perché quell’espressione triste?’. All’inizio, lei faceva spallucce, poi si è confidata. Mi ha detto che aveva problemi in famiglia. Io pensavo al padre, e invece era sua madre. Mi ha detto che la mamma la teneva quasi segregata in casa, che la picchiava. Mi ha detto che dopo la maturità, doveva andare in India per sposarsi con uno scelto dai genitori. Sì, un matrimonio combinato». La bidella si era ricordata di quel giorno in cui la studentessa «sempre con la testa china e le braccia coperte con le maniche lunghe che si tirava giù fino alle mani», aveva una mano fasciata.

«Le avevo detto: ‘Ti sei bruciata?’. Lei: ‘Magari, è stata la mamma’». Se l’era ricordata anche il compagno di classe quella mano bendata «per un bruciatura», ma «ho visto anche lividi sul volto e sulle braccia. Con me si era confidata. Mi aveva detto i motivi delle discussioni. Lei voleva andare avanti negli studi, all’università, voleva un futuro diverso da quello di sua madre. Qualcosa mi aveva raccontato. Ad esempio, che sua madre voleva che lei cucinasse, stirasse, lavasse, ma lei doveva studiare. I compiti li faceva a tarda notte per riuscire bene a scuola. So che c’era l’idea di combinare un matrimonio con un ragazzo indiano, ma lei non lo voleva sposare».

L’ex compagno aveva raccontato di quella volta in cui dopo la scuola, nel pomeriggio, c’era un corso di approfondimento di una materia: chimica. «Stavamo passeggiando per Cremona in attesa del corso. So che è stata picchiata, perché suo fratello ci aveva visto passeggiare insieme e lo aveva detto a sua madre». I lividi e la mano bendata se li era ricordati anche un’altra compagna: «Di sua madre mi aveva detto che la picchiava anche per niente». L’avvocato Mario Tacchinardi ha insistito sulle «tradizioni culturali. Non credo che la madre volesse rendere la vita impossibile alla figlia, che volesse segregarla. Non c’è la prova di un intento persecutorio. Voleva crescerla secondo le loro tradizioni culturali».

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