L'ANALISI
24 Giugno 2024 - 05:25
Isioma durante una delle sue giornate di lavoro in Fondazione Germani a Cingia de’ Botti con Giorgia, Chiara ed Elena
CREMONA - Dice la sua responsabile: «Quando ti chiamano per nome, significa che sei entrato nella loro vita, essere a metà dell’opera». Lei ci è riuscita anche se il suo è un nome non comune, difficile da pronunciare e ricordare: Isioma Johubull. Ha 26 anni, è nata in Nigeria e come tanti suoi connazionali è arrivata in Italia attraversando il Mediterraneo su un barcone. È una ragazza timida, riservata, probabilmente preferisce non parlare di ciò che ha visto. Presta servizio civile presso la Fondazione Elisabetta Germani di Cingia de’ Botti. «Mi piace molto stare in mezzo agli anziani».
Il suo impegno è cominciato un anno fa e si concluderà mercoledì prossimo. Abita a Rivarolo del Re. Qualcuno le ha parlato di quella opportunità nella Rsa del paese vicino. ‘Hai tra i 18 e i 28 anni? Sei cittadino italiano o hai il permesso di soggiorno? Se hai risposto sì, questa proposta fa per te’, riportava il volantino affisso alla bacheca della Fondazione. Isioma rispettava i requisiti richiesti. E così, aiutata da un’amica, ha compilato e presentato la domanda: accolta. Compenso mensile 507,30 euro; 25 ore a settimana, dal lunedì al venerdì; pasto in mensa gratuito; 20 giorni di ferie; certificazione delle competenze; possibilità di riscatto ai fini previdenziali e pensionistici; priorità per i concorsi pubblici. Ma, prometteva quel foglio, c’era qualcosa che andava al di là: ‘Un’esperienza umana che lascerà il segno, carica di scoperte ed emozioni, per mettersi in gioco, fare del bene agli altri e a se stessi’.
Dallo scorso giugno Isioma è salita alle 7 sul pullman sotto casa che mezz’ora dopo la lasciava davanti alla Fondazione. È entrata e ha infilato la maglietta bianca con la scritta sulla schiena: ‘Fondazione Elisabetta Germani: 125 anni. Affidatevi a noi, ci prenderemo cura di voi’. La sua giornata cominciava e comincia, anche se ancora per poco, qualche minuto dopo. «Vado in reparto per dare una mano a preparare le colazioni». Quello è per lei uno dei momenti più attesi.
«Parlo con le persone per sapere se hanno dormito bene, cos’hanno sognato e come stanno».
Poi aiuta a sparecchiare. «Se c’è la messa, che inizia alle 9, le accompagno giù in chiesa». In caso contrario, prendono il via, condivise con gli educatori e i volontari, le altre attività. Gesti semplici ma preziosi «come leggere il giornale, fare il cruciverba, ascoltare musica. Spesso qualcuno chiede un caffè, allora andiamo insieme al Bar-Lume interno o in giardino. Può anche capitare di far incontrare un residente con un altro di un padiglione diverso oppure con un suo amico d’infanzia. C’è pure il servizio di parrucchiera».
La mattina scivola via in questo modo sino alle 11.30, «quando cominciamo a sistemare per il pranzo, poi rimettiamo in ordine». A quel punto può ritornare a casa dal figlio di 4 anni. Il suo tempo è stato scandito in questo modo, ma con alcune eccezioni. «Una volta mi sono recata con un gruppo di anziani al Ponchielli, un’altra al parco Sigurtà di Valeggio sul Mincio». Quando ha cominciato erano sei giovani, quattro hanno lasciato per motivi di studio o altre ragioni. Sono rimasti lei e Giorgia, l’affettuosa universitaria che l’ha sostenuta, specialmente con la lingua traducendo dall’inglese. «Giorgia è molto brava» dice, guardandola negli occhi, Isioma. All’inizio ognuno dei ragazzi si occupava di un reparto, poi le due amiche hanno fatto il jolly dove c’era bisogno. In questi mesi sono stati molti i momenti sereni.
«Abbiamo preparato gli addobbi per l’albero di Natale; a Pasqua sono state ordinate delle grandi uova di cioccolato, al latte o fondente, e le abbiamo distribuite». Ma non sono mancati i giorni difficili: «Sì, qualcuno in questo periodo ci ha lasciato. Quando se n’è andata la signora Maddalena ho sofferto». A marzo un’altra residente, Martira Maria, la minore di quattro sorelle, ha compiuto 101 anni. Isioma mostra con orgoglio la fotografia che ritrae l’ultracentenaria con i nipoti, il pronipote e gli altri familiari davanti alla torta con le candeline. «Quel 29 marzo in mezzo a loro c’ero anch’io».
Il suo è un lavoro delicato, impegnativo, pesante. Ma non per lei. «Non sono stanca. L’ho scelto perché mi appassiona condividere le esperienze di queste persone, parlare di quando erano piccole, raccogliere i loro ricordi. Con tutte si è instaurato un rapporto molto bello». Francesca Denicoli, coordinatrice dei dieci volontari e tutor dei giovani che hanno optato per il servizio civile presso la Rsa, si coccola Isioma. «Lei e gli altri hanno voluto mettersi in gioco vivendo un’esperienza relazionale importante e confrontandosi con situazioni psico-fisiche non semplici. Venire in una realtà come questa rappresenta un salto nel buio. Sono molta contenta di aver avuto questi ragazzi. Con tutto il rispetto, è più facile fare fotocopie in una biblioteca o in un comune».
Il primo ciclo del servizio civile sta per concludersi e lascerà il posto al secondo: entreranno in campo altri sei giovani selezionati, dopo aver sostenuto una prova orale e una scritta, tra i dieci che hanno presentato domanda. «Questa alta adesione è un buon segno», sottolinea la coordinatrice. Ora di pranzo, la giovane immigrata saluta perché deve correre a prepararlo. Per lei, quasi alla fine un anno in cui ha donato generosità e gentilezza, è tempo di bilanci. «All’inizio quando gli anziani parlavano non capivo niente. Adesso io capisco loro e loro capiscono me». Sì, è a metà dell’opera. Anzi, decisamente oltre.
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