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SULLE ROTTE DELLA TRATTA

Schiave sessuali e mendicanti, oltre 400 aiutati in due anni

Racconti di nigeriane, romene e albanesi raccolti nel Cremasco: «Paghiamo per il pezzo di strada»

Stefano Sagrestano

Email:

stefano.sagrestano@gmail.com

20 Giugno 2024 - 05:05

Schiave sessuali e mendicanti, oltre 400 aiutati in due anni

CREMA - La mappa della disperazione nel Cremasco, tra sfruttamento sessuale e lavorativo, che si traduce, in quest’ultimo caso, in accattonaggio. «Dobbiamo consegnare tutti i mesi i soldi, per pagare la piazzola, a uomini albanesi coinvolti nello spaccio di droga. Se abbiamo subito violenze e minacce? Certo». Sono i racconti agghiaccianti di donne straniere, costrette a vendersi sulle strade del territorio. Sono centinaia le persone vittime di tratta, incontrate nel corso degli ultimi due anni dagli operatori della cooperativa Lule Odv e della Fondazione Somaschi.

«Le unità mobili di contatto in strada e in luoghi al chiuso, nei diversi ambiti di sfruttamento, hanno contattato complessivamente 441 persone, tra le quali 219 richiedenti o titolari di protezione internazionale», viene specificato nella relazione finale del progetto, che si è concluso da poco. «Nello specifico: 298, di cui 137 richiedenti o titolari di protezione internazionale, sono i soggetti incontrati nell’attività all’esterno. E 143, di cui 82 richiedenti o titolari della protezione, grazie alle varie iniziative per la sensibilizzazione».


Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale, gli operatori hanno lavorato lungo le principali strade che attraversano il Cremasco. «Non sono state rilevate presenze notturne — la sottolineatura — ma durante le ore diurne, sono state contattate donne provenienti principalmente da tre Paesi: la Nigeria, l’Albania e la Romania, con un’età compresa tra i 25 e i 44 anni. Le piazzole sulle quali si prostituiscono sono suddivise tra le diverse nazionalità: in prossimità di benzinai e aziende con telecamere e aree videosorvegliate, ragazze dall’Est europeo; nei pressi di campi e zone agricole, invece, ci sono le nigeriane, seppur in progressiva diminuzione».

E vi sono casi in cui le prostitute dichiarano di non essere sfruttate. Dai racconti, raccolti dagli operatori, la realtà appare variegata: «Alcune nigeriane dicono di prostituirsi solo per sostenersi economicamente. Sono regolari sul territorio, hanno figli e si dicono persino integrate. Hanno dichiarato, inoltre, di aver svolto pure lavori per brevi periodi, grazie all’assunzione all’interno di cooperative di pulizie. In aggiunta, sono badanti o baby-sitter per conto di connazionali o conoscenti». Romene e albanesi, invece, sono ormai ben conosciute dagli operatori dell’unità di strada.

«Il loro basso turnover consente l’ascolto, che favorisce la creazione di un legame di fiducia duraturo nel tempo — si legge nella relazione —: la maggior parte di loro dichiara di avere figli adolescenti nel Paese di origine, che vengono accuditi e cresciuti dai familiari». Ma non è sempre così. Lo sfruttamento, nel Cremasco, comporta anche abusi. «In più occasioni — concludono gli operatori di strada — alcune donne hanno riferito di consegnare mensilmente ingenti somme di denaro, per il pagamento della piazzola. Le nigeriane hanno spiegato, inoltre, di aver subito violenze e minacce, poiché accusate di occupare indebitamente le vicinanze di alcune postazioni delle albanesi. E per questo motivo sono state costrette a spostarsi».

L'assessore Anastasie Musumary


L’assessore cittadina al Welfare, Anastasie Musumary, ha da poco rinnovato proprio la convenzione con Lule, per garantire il proseguimento del lavoro di sostegno alle vittime di tratta. «Rinnoviamo il nostro impegno — commenta —: il ‘Mettiamo le Ali-Dall’emersione all’integrazione’ vedrà ora una nuova fase. Rappresenta un pilastro fondamentale nel nostro impegno contro la tratta di esseri umani e lo sfruttamento grave. Ossia problemi che, purtroppo, continuano a rappresentare una realtà drammatica anche nel nostro territorio. Lavorare insieme a Lule ci permette di garantire un intervento efficace e mirato, che non si limiti alla sola fase di emersione delle vittime, ma che offra un percorso concreto di integrazione sociale. Invito, pertanto, tutta la comunità di Crema a sostenere questo progetto».

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