L'ANALISI
11 Giugno 2024 - 18:39
CREMONA - Parla di «ragazzi», perché «nel carcere di Cremona ne abbiamo tanti tra i 18 e i 24 anni. Anche con loro, soprattutto con loro senti il dovere di agire per costruire il loro futuro». Racconta di uno di loro che «in carcere non ci deve stare. Nel colloquio di alcuni giorni fa gli ho detto: ‘Ma tu noi hai una casa? Se hai un riferimento lo si può dire al magistrato’. Lui pagava 500 euro al mese per dormire su un materasso in un camper parcheggiato a Lambrate. E come lui ci sono un sacco di persone che non hanno domicilio, non hanno una struttura ospitante e allora si fanno la galera per cosa? Perché non hanno alternativa».
Da 15 anni don Roberto Musa è cappellano del carcere e «quello che ho visto io è il dopo carcere che non c’è. La speranza noi la alimentiamo o la soffochiamo?». Risuona, potente, la sua domanda lanciata dal palco del cortile Federico II. L’occasione è la maratona oratoria a staffetta organizzata dalle Camere penali italiane per sensibilizzare sulle condizioni carcerarie e sui suicidi. Il tema: ‘Fermare i suicidi in carcere. Diamo voce a coloro che non possono parlare. Non c’è più tempo’. Oggi è toccato a Cremona.
Alle 11,30, la maratona oratoria viene aperta da Micol Parati, presidente della Camera penale di Cremona e Crema ‘Sandro Bocchi’. Legge i nomi di chi in carcere si è suicidato. Chiede un minuto di silenzio. Poi, sul palco si alternano avvocati, politici, professionisti che si occupano dei detenuti, Ludovica La Russa, studentessa di Giurisprudenza alla Bocconi. E chi in carcere ci entra ogni giorno. Come gli educatori. E come don Musa.
«Mi sono chiesto perché una persona si toglie la vita, indipendentemente da dove è — dice il cappellano —. Perché non ha più voglia di futuro, perché non si aspetta più niente. In carcere questa situazione è quotidiana. Il carcere di Cremona è molto altalenante come numeri: 535 ieri, 550 oggi, 570 domani. Siamo in balia dei trasferimenti. E fai fatica a costruire relazioni e rapporti quando non sei sicuro che quella persona potrà fare un percorso. Sai che inizi, ma non sai quando terminerai, perché può darsi che tra un mese quel ragazzo con cui stavi costruendo un progetto verrà trasferito in un altro istituto e si azzera tutto». O perché «com’è successo in questi giorni a Cremona, per tre educatori arrivati tre mesi fa c’è stato l’interpello e sono stati trasferiti». E, allora, «tutto si blocca per i ragazzi che stavano aspettando di iniziare tirocini o di lavorare nelle imprese. La speranza noi la alimentiamo o la soffochiamo? È questo il problema». Parla delle misure alternative, don Musa.
«Noi abbiamo a Cremona una marea di persone che in carcere non ci dovrebbero stare. Dove pero? Anche con residui di pena che di per sé non prevederebbero più la carcerazione, però dove vanno? La speranza richiede un lavoro continuo, una presenza quotidiana, perché, sennò, si rischia con degli spot di fare più del male che del bene. Fai la bella iniziativa, vengono i giornalisti e poi ti saluto: noi ci dimentichiamo che quella gente in carcere ci rimarrà e non ci andrà poi nessuno. E poi magari, terminato il corso di cucina, di falegnameria, il collegamento esterno? Scopo lavorativo? Possibilità abitativa? Zero. Bisogna cercare di costruire ponti stabili con la realtà esterna. Gli eventi sono belli nel momento in cui segnano l’inizio di un qualche cosa di stabile, non un ponte di barche, ma un ponte stabile con il territorio, con le aziende, con le imprese, con le realtà commerciali, con le scuole, con tutto ciò che educa nel nostro territorio. Se noi vogliamo fermare gli atti estremi, dobbiamo cercare di fare in modo che il futuro abbia un senso per chi è in carcere. Dobbiamo aiutarlo a desiderare un futuro, a sognare, costruire, progettare. È quello che dà il sale, il senso alla nostra vita. Figuriamoci dentro là. Nel momento in cui sei rinchiuso, non hai più non solo la possibilità, ma nemmeno il diritto di sognare, di progettare il tuo futuro».
«Dall’inizio dell’anno, nelle carceri 39 suicidi, 91 decessi e 4 suicidi tra gli agenti della polizia penitenziaria. Questi numeri non ci possono lasciare indifferenti. In carcere ci si toglie la vita in percentuale 18 volte di più rispetto alla società civile esterna», sottolinea la presidente Micol Parati, che ricorda anche gli atti di autolesionismo: 287 a Ca’ del Ferro nel 2023. «Questo ci fa capire quanto la situazione sia abnorme, inaccettabile». Parla del sovraffollamento.
«Le carceri sono sovraffollate: abbiamo celle in cui dovrebbero stare due detenuti, ma che, invece, ne accolgono quattro, sei, a volte anche otto con letti uno sopra l’altro, in una situazione così ristretta che è impossibile aprire le finestre per far cambiare aria alla cella». La presidente Parati parla dei problemi di natura psichiatrica (molti detenuti ne soffrono) e sanitaria. «Lo Stato - prosegue — non riesce a fornire un’ adeguata assistenza sanitaria alle persone detenute. Eppure, i detenuti sono affidati allo Stato. Per il periodo in cui devono scontare la pena, lo Stato li deve custodire e dovrebbe in quel periodo rieducarli. Però questo non succede. Eppure, questo è scritto nella nostra Costituzione».
Cita l’articolo 27: ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. «La pena deve essere giusta e rispettosa della dignità dell’uomo. Se così non fosse, lo Stato si abbasserebbe al livello di chi ha sbagliato e di chi ha commesso dei reati. Lo Stato che non rispetta la Costituzione è uno Stato che non dobbiamo accettare. Ci troveremmo, se così fosse, tutti consapevoli e in qualche modo correi, nel porre in essere comportamenti contro la legge». Richiama l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: ‘Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti’. «Eppure — evidenzia — in Italia di pena si muore, anche se la pena di morte è stata abrogata».
Micol Parati, presidente della Camera Penale di Cremona e Crema ‘Sandro Bocchi’, il sindaco Gianluca Galimberti, il consigliere regionale Matteo Piloni, l’avvocato Serena Manfredini dell’Associazione giovani avvocati, l’avvocato Caterina Pacifici, consigliera della Camera penale, l’avvocato Nadia Baldini, che ha portato i saluti del presidente dell’Ordine degli avvocati, Alessio Romanelli, e letto il suo intervento, Antonella Salvan dell’Uepe di Mantova, Paolo Carletti, presidente del Consiglio comunale, don Roberto Musa, cappellano del carcere, l’avvocato Elena Monticelli, le giornaliste Francesca Morandi (La Provincia) e Sara Pizzorni (Cremona Oggi), l’avvocato Andrea Daconto, Vanna Poli dell’Asst di Cremona, Dario Mor, educatore pedagogista e agente di rete presso l’Uepe di Cremona, l’avvocato Marilena Gigliotti, consigliera della Camera penale, l’avvocato Michele Ferranti, Francesca Salucci, coordinatrice del Centro diurno interno casa circondariale di Cremona, l’avvocato Raffaella Buondonno, consigliera della Camera penale- delegata carcere, un detenuto in affidamento provvisorio, Ludovica La Russa, studentessa in Giurisprudenza Università Bocconi; l’avvocato Chiara Tomasetti, l’avvocato Laura Negri, segretario della Camera penale, Annamaria Caporali di Amnesty International e l’avvocato Maria Luisa Crotti, presidente della Camera penale della Lombardia Orientale.
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