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LA PRODUTTIVITÀ SOTTO LA LENTE

Il Pil quotidiano al galoppo, Cremona è quinta in Italia

Dietro alla città metropolitana di Milano e alle province di Bolzano, Lodi e Trento. L’export arranca

Elisa Calamari

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10 Giugno 2024 - 05:20

Il Pil quotidiano al galoppo, Cremona è quinta in Italia

CREMONA - Laboriosi, pragmatici, attivi e soprattutto produttivi: stando all’ultimo studio della Cgia di Mestre così possono essere descritti i cremonesi, che si piazzano al quinto posto in Italia per produttività quotidiana. Prima dei residenti di tante importanti province industriali come Bergamo, Torino, Varese. Il dato è frutto di un rapporto che tiene conto del valore aggiunto, ovvero il Pil al netto delle imposte dirette, e dell’Ula, sigla che sta per unità di lavoro equivalente a tempo pieno di ogni occupato.


Se al primo posto non sorprende più di tanto il piazzamento della provincia metropolitana di Milano con una produttività quotidiana di 282,9 euro a lavoratore, l’ingresso di Cremona nella top ten (preceduta anche da Bolzano, Lodi e Trento) inorgoglisce e un po’ stupisce: la produttività per Ula al giorno è pari a 246,1 euro. Considerando che la media italiana di produttività giornaliera degli occupati è 210,6 euro, i cremonesi hanno di che vantarsi. Soprattutto perché il dato è alto nonostante un valore aggiunto complessivo che è comprensibilmente inferiore rispetto a quello di altri centri: Milano può infatti contare su un Pil di 204,4 miliardi di euro e quasi 2 milioni di unità di lavoro standard; in provincia di Cremona il valore aggiunto complessivo stimato nel 2024, invece, è pari a 12,9 miliardi di euro e le unità di lavoro standard sono 143mila.


Campioni in produttività, dunque, ma gli ultimi dati sull’export restano poco confortanti: se la Lombardia è pressoché ferma con un timido +0,8%, la nostra provincia cala invece del 6% e a fare peggio sono solo Mantova (-10,8%) e Brescia (-7%). «In questo caso paghiamo tassi ancora alti e troppe incognite geopolitiche – è il commento di Stefano Binda di Cna Lombardia –: le guerre alle porte dell’Europa e nel vicino Oriente si fanno sentire. Una buona economia ha bisogno di buone relazioni internazionali». Insomma, non è il caso di crogiolarsi troppo per i dati sulla produttività, ma è necessario pensare a come questa si riflette oltre confine.


Più in generale ogni giorno il nostro Paese produce 5,8 miliardi di euro di Pil che, convenzionalmente, è misurato attraverso la somma dei beni e dei servizi finali generati in un determinato arco temporale. Si dice interno perché si riferisce a quello che viene generato sia da imprese nazionali sia da imprese estere presenti in una determinata area geografica. Questi 5,8 miliardi corrispondono a 99 euro giornalieri per ogni cittadino italiano, neonati e ultra centenari compresi. Le differenze regionali sono però evidentissime: se in Trentino Alto Adige il Pil per abitante giornaliero è pari a 146 euro, in Lombardia è di 131,8 e in Valle d’Aosta di 130,1; in Emila Romagna di 118,9 e in Veneto di 110,8; per contro, in Campania il Pil pro capite al giorno è di 63,4 euro, in Sicilia di 60,1 e in Calabria di 57,9.


Se facciamo un confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea scopriamo che scontiamo un gap importante, soprattutto nei confronti dei Paesi del Nord Europa. Se in Lussemburgo la ricchezza giornaliera per abitante è di 336 euro, in Irlanda è di 266, in Danimarca di 179, nei Paesi Bassi di 164, in Austria di 149, in Svezia di 145 e in Belgio di 140. Tra i 27 Paesi dell’Ue, ci collochiamo al 12° posto. Le ragioni sono da ricercare anche nel fatto che i Paesi con pochi abitanti, ma con una presenza importante di big company e di attività finanziarie, presentano tendenzialmente livelli di ricchezza nettamente superiori agli altri.

Inoltre l’Italia non dispone più di grandissime imprese e di multinazionali, ma è caratterizzata da un sistema produttivo composto quasi esclusivamente da micro e piccole-medie imprese ad alta intensità di lavoro che, mediamente, registra livelli di produttività non elevatissimi, eroga retribuzioni più contenute delle aziende di dimensioni superiori – condizionando così l’entità dei consumi – e presenta livelli di investimenti in ricerca e sviluppo inferiori a quelli in capo alle grandi realtà produttive.

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