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CREMONA

«Commento omofobo e discriminatorio», 72enne cremonese a processo

La coppia di artisti Sergio Sormani e Giorgio Donders (Ser&Gio) chiede un risarcimento di 30mila euro al «portatore d’odio». Il caso sarà discusso in aula il 20 novembre prossimo

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

05 Giugno 2024 - 15:53

«Commento omofobo e discriminatorio», 72enne cremonese a processo

Sergio Sormani e Giorgio Donders davanti all'Ariston di Sanremo

CREMONA - Combattono i pregiudizi con il teatro. Nella loro ultima commedia ‘Ecce (h) omo - una diversa storia di normalità’ andata in scena a Roma lo scorso marzo, attraverso un dialogo fatto di umorismo e riflessione, raccontano la loro storia d’amore e le sfide che hanno dovuto affrontare in una società spesso intollerante.


Gli artisti Sergio Sormani e Giorgio Donders (Ser&Gio), coppia nella vita e nel lavoro, non l’hanno di certo presa con ironia la frase pubblicata su Facebook da un cremonese 72enne a commento della loro unione civile celebrata l’11 settembre del 2018 a Vimercate, dopo convivono. La frase: «Culi di merda frocioni». Frase omofoba diffamatoria, per l’accusa. La coppia chiede un risarcimento di 30mila euro al «portatore d’odio». Nel processo, Sormani e Donders si sono costituti parte civile con l’avvocato Luca Castelli di Milano. Il caso sarà discusso in aula il 20 novembre prossimo.

L'avvocato Luca Castelli


Per il legale, «si tratta di insulti pesanti che ledono» non solo i suoi assistiti, «ma anche l’intera comunità Lgbt con conseguenze non irrilevanti nei confronti dell’attività anche sociale svolta dai due artisti». Già, perché Sergio e Giorgio, è annotato nell’atto di costituzione di parte civile, «hanno portato sui palchi di tutta Italia, in radio, in Tv e sul web la propria storia personale e i propri contenuti artistici a difesa del diritto di esprimere la propria identità». E, ricorda l’avvocato Castelli, lo hanno fatto anche durante il Festival di Sanremo, edizione del 2018, conduttore Claudio Baglioni. Approfittando della pausa pubblicitaria, Giorgio aveva portato il suo compagno Sergio tra le poltrone della platea dell’Ariston, chiedendogli, in diretta Facebook, di sposarlo (i due artisti erano insieme da 26 anni).

«Il fatto era stato immortalato in un video poi ripreso su testate giornalistiche e sul web - prosegue l’avvocato Castelli —. Ed era stato condiviso su Facebook. Che tale fatto generasse dibattito e anche commenti contrari», Ser&Gio lo avevano messo in conto. «Era evidente e prevedibile». Ma «di sicuro non avevano e tutt’ora non ha intenzione di ledere il legittimo diritto di critica e di espressione». A una condizione, però. «Che le espressioni siano continenti, educate e non lesive della dignità delle persone». Ad oggi, dall’imputato difeso dall’avvocato Stefania Giribaldi, non sono arrivate le scuse alla coppia di artisti.

L'avvocato Stefania Giribaldi

«Avrebbe potuto farle sia pubblicamente, così come li ha offesi, sia in privato». Anche nel 2019 Ser&Gio finirono nel mirino sui social per i loro manifesti anti discriminazione comparsi a Milano, Cremona, Roma, Torino, Bologna. Sui poster c’erano loro due vicini, dietro a un carrello. Cambiavano le frasi di denuncia. Riprendevano, in modo sarcastico, l’immagine scelta in ottobre dalle associazioni ProVita e Generazione famiglia per la loro campagna anti utero in affitto: quei cartelloni rappresentavano due uomini, chiamati genitore uno e genitore due, con un bimbo cghe piangeva in un carrello e la frase «due uomini non fanno una madre». Ser&Gio risposero con tre manifesti. Il primo: nel carrello un pallone da calcio e uno da football americano, e la frase «due palle non fanno un etero».

«Per sottolineare la necessità di andare oltre il pregiudizio - raccontò Sergio al Corriere della Sera -. Quello, per esempio, secondo il quale alcuni sport o attività lavorative sarebbero ‘impensabili’ per chi non è (o non si dichiara) eterosessuale». Nel secondo manifesto la frase «un pranzo con i parenti di Natale». «È un invito - spiegò Giorgio - a non relegare l’idea del Natale ad una unica forma di ‘rappresentazione’ con famiglie tradizionali. Ma scegliere di circondarsi di affetti veri». Il terzo poster: «Entrare in chiesa non fa fede».

Sui social, ne scrissero di tutti i colori contro Ser&Gio: chi inneggiò al ritorno di Hitler, chi li esortò ad ammazzarsi. Ma loro vanno avanti «nella difesa dell’identità sessuale e di genere - è scritto nell’atto dell’avvocato —, davanti ad ogni attacco d’odio e di intolleranza che spesso vedono vittima i più giovani e le persone fragili con conseguenze, a volte, nefaste sia per queste persone fragili che per le loro famiglie».

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