L'ANALISI
03 Giugno 2024 - 05:20
CREMA - A due anni dall’inizio degli accertamenti sul gruppo trevigiano Casa Zero, finito in liquidazione con un buco di 12,5 milioni di euro, la Procura di Treviso ha chiuso le indagini. Il risultato è che si profila la richiesta di rinvio a giudizio per otto delle persone indagate, per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato e ricettazione.
La truffa legata al Superbonus edilizio 110% ammonterebbe a circa 50 milioni di euro in crediti fiscali, che hanno coinvolto quasi mille ignari clienti. Di questi, una sessantina sono residenti nel Cremasco. Delle famiglie del territorio, quasi tutte non hanno mai visto iniziare i lavori alle loro abitazioni, anche se in parecchi casi hanno avuto la casa con le impalcature montate per mesi. La loro preoccupazione, tuttavia, deriva dalla situazione del loro cassetto fiscale, per via dei crediti incassati illecitamente da Casa Zero. La paura è quella che l’Agenzia delle entrate possa chiederne conto a loro.
«Passi per i 500 euro che tutti abbiamo perso per avviare con Casa Zero la pratica di efficientamento edilizio delle nostre villette — afferma uno dei raggirati che ha chiesto che non sia resa nota la propria identità — ma trovarsi a dover rispondere di agevolazioni fiscali delle quali non abbiamo beneficiato, non avendo mai visto eseguire i lavori commissionati, creerebbe un danno economico al quale molti di noi non sarebbero in grado di far fronte».
Gli indagati del gruppo Casa Zero, il general contractor trevigiano, per i quali è avvenuta la chiusura delle indagini, sono il legale rappresentante del consorzio Casa Zero, due amministratori, tre asseveratori e due consulenti del lavoro. Queste persone hanno ora 20 giorni di tempo per essere ascoltate dal pubblico ministero Massimo De Bortoli, dopo di che è probabile che venga richiesta la loro imputazione formale.
Secondo il risultato delle indagini, i clienti sottoscrivevano contratti per interventi edilizi con agevolazioni del Superbonus 110%, ma le opere non venivano eseguite o erano solo parzialmente realizzate. Nonostante questo, gli indagati avrebbero emesso numerose fatture che attestavano l’avvenuta esecuzione dei lavori, incassando così crediti fiscali fittizi per un totale di circa 50 milioni.
In sostanza, quasi mille persone sono state truffate, trovandosi con lavori incompleti o non eseguiti, mentre gli indagati si procuravano profitti.
Le dichiarazioni, trasmesse per via telematica all’Enea, avrebbero contenuto anche la sussistenza dei requisiti tecnici e la congruità delle spese sostenute.
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