L'ANALISI
13 Maggio 2024 - 05:20
Françoise Ogéas, 92 anni, cantante lirica francese, abita ora nella casa che fu di Pier Paolo Pasolini quando, ragazzino a Cremona, frequentava il liceo Manin
CREMONA - Il pianoforte con lo spartito aperto, i quadri, le fotografie, i libri. Libri ovunque, in salotto e nel corridoio. L’illustre precedente inquilino si sarebbe immerso in questa atmosfera calda, avvolgente, che diffonde amore per la cultura. «In questa casa abitava Pier Paolo Pasolini», fa da guida Françoise Ogéas, 92 anni, cantante lirica francese, una lunga e brillante carriera alle spalle. È una donna dolce, raffinata, di classe. Un passaggio di testimone tra artisti suggestivo e poco conosciuto.
Lo stabile è quello di via XI Febbraio 2, angolo via Platina, dove Pasolini, studente del liceo classico Manin, visse dal 1933 al 1935 con il padre Carlo Alberto, ufficiale di fanteria bolognese, e la madre Susanna, maestra elementare friulana. Qui, come ricorda la targa su un’arcata dei portici, il grande intellettuale, arrivato a Cremona («Era la prima città che vedevo e mi sembrò una metropoli») all’età di nemmeno 11 anni e partito a 13 compiuti, «terminò la sua infanzia» e da qui «dispiegò la sua avventura artistica». Una casa «dura e lucida come di metallo», ha scritto. A quei tempi nei portici sottostanti c’era una drogheria ben avviata gestita dall’affittuaria, Zaira Pugnoli, dei genitori di Pasolini.
Un’effervescente negoziante che tutti chiamavano Orsola ma che per lui era «Ursula, la più radicalmente cremonese di tutte le persone di quella Cremona, divenuta mia patria». Lì ora c’è il bar di Pietro. Sopra, l’alloggio della signora Ogéas. Proviene, dice con orgoglio, dalla «bellissima Borgogna». È stata la sua famiglia a trasmetterle la passione per le note. «Cantavamo tutti. Sono stata cullata da un gregoriano intonato meravigliosamente nella Cattedrale di Digione. Stavamo in un bagno di musica, la prima musica che ho cantato è stato il gregoriano. Mio padre era molto severo. Ripeteva: dato che fate la musica per piacere, fatela meglio degli altri». La sorella, di sette anni più giovane, era un soprano leggero; lei, Françoise, un soprano.
Il suo talento l’ha portata in giro per i teatri di tutto il mondo. Ha collaborato con alcuni dei più famosi direttori d’orchestra e compositori, «come Lorin Maazel e Igor Stravinskij». Alla Scala ha conosciuto un acclamato cantante che più tardi avrebbe sposato: il tenore Franco Ricciardi. Napoletano d’origine, è stato Monostatos nel Flauto Magico, Goro in Madama Butterfly, il ministro Pang in Turandot, il servitore Bardolfo in Falstaff e mille altri ruoli. La moglie mostra le fotografie raccolte in un cd intitolato ‘Omaggio a Franco Ricciardi’ in cui è ritratto con Giulietta Simionato, un giovane Zeffirelli e tanti nomi di primissimo piano della lirica. Ha condiviso il palcoscenico anche con Aldo Protti nella Francesca da Rimini. «Se io ho lavorato con Stravinskij, lui lo ha fatto con von Karajan. Franco era, come me, piccolo, 1,64 centimetri. Quella era l’epoca dei Del Monaco, dei Corelli. Mio marito faceva le parti da secondo tenore, era molto versatile».
Alla sua morte, nel 2010, la moglie ha deciso di vendere il piccolo appartamento di Cormano, vicino Milano. «Non mi piaceva stare lì, volevo trasferirmi: ho scelto Cremona perché è a misura d’uomo». Va ai concerti, al Museo civico o al Ponchielli. Un’altra sua tappa fissa sono le librerie. In città vive anche la figlia, Anne Colette Ricciardi, direttrice del Conservatorio Claudio Monteverdi. «La casa — riprende la madre — era tutta da rifare. Nel momento del trasloco avevo 110 casse piene di volumi: una parte ha preso la strada per la Francia, un’altra è andata ad Anne Colette e il resto è rimasto con me. I libri sono tremendi, se ne aggiunge sempre uno, sempre uno».
Quando è arrivata tra via XI Febbraio e via Platina, non sapeva di essere stata preceduta, tanto tempo fa, da un certo Pasolini. «Ne sono venuta a conoscenza una decina di giorni dopo la cerimonia per la targa». La lastra di marmo fortemente voluta dall’assessore all’Urbanistica Massimo Terzi, stroncato dal Covid, e inaugurata davanti a un piccolo pubblico, il 28 ottobre 2002, dal sindaco Gian Carlo Corada. «Quel sabato ho letto un brano tratto da Romans in cui Pasolini descriveva Cremona e il Po», ricorda Beppe Arena, attore e regista.
«Prima di allora — continua la padrona di casa — non seguivo molto la letteratura italiana. Mio marito, invece, era un appassionato di Pasolini, me ne parlava spesso, non si perdeva i suoi articoli e commentava: vede le cose giuste, in anticipo. Dopo il mio trasferimento, mi hanno regalato alcune delle sue opere». La cantante francese si alza dalla poltrona. «Sono qui, da qualche parte. No, sullo scaffale no. Allora là, dietro la vetrinetta». Le apre: «Eccole». Le sfoglia: le poesie dell’autore delle ‘Ceneri di Gramsci’. «Ho capito che era davvero lungimirante. Mi commuovono in particolare le parole dedicate alla madre. Se Cremona lo celebra come merita? In generale, la gente è distratta, sono sempre gli stessi argomenti di cui si parla. Quella di Pasolini è stata una fine triste. Il suo non era un mondo facile, le persone non sopportano che gli altri vivano diversamente, Ci vorrebbero ai tempi nostri personaggi di quella statura».
Personaggi come chi prima di lei abitava tra queste mura. «No, il suo fantasma non mi appare di notte», sorride il soprano appassionata di Ravel e Debussy. Poi si fa seria. «Pasolini qui? Per me è un fatto importante, lo so e ci penso. È impossibile essere musicista e non amare le altre arti. E ogni casa, si sa, conserva un’impronta, un’anima». Quella lasciata in eredità dallo schivo liceale che avrebbe fatto vibrare il mondo e custodita come meglio non si potrebbe da lei, madame Ogéas.
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