L'ANALISI
08 Aprile 2024 - 05:20
Raffaello Giuseppe Rosa, 53enne di Motta Baluffi
CREMONA - Il suo sconfinato amore per l’America Latina è sbocciato sulle pagine dei fumetti.
«Non mi perdevo nemmeno una delle avvincenti avventure di ‘Mister No’, l’eroe creato da Sergio Bonelli che a bordo del suo piccolo paiper da turismo mi trasportava nei luoghi più reconditi dell’immensa foresta amazzonica. ‘L’inferno verde’ o ‘L’ultimo paradiso’, come viene chiamata». Nel tempo Raffaello Giuseppe Rosa, 53 anni, nato a Motta Baluffi, ha sviluppato un’attrazione particolare, più circoscritta: quella per gli Inca. Una passione che lo ha portato a trasferirsi in Perù sulle tracce di quell’antica e splendida civiltà.
Per approfondirla ma anche per difenderla: si è unito attivamente e in varie forme, come il sostegno di una petizione e la pubblicazione del suo nuovo romanzo, alle proteste contro la costruzione dell’aeroporto internazionale di Chincero, fra Cusco, l’antica capitale dell’impero Inca, e il santuario di Machu Picchu, una delle sette meraviglie del mondo, a ridosso di siti archeologici di straordinario valore, che rischiano di venire seriamente danneggiati. «Mi sono laureato in Economia e Commercio all’Università di Parma, ma fin da adolescente i miei grandi interessi sono l’antropologia, le scienze naturali e l’archeologia — racconta Rosa —. Dopo oltre 15 anni di lavoro in un’azienda e vari viaggi vacanzieri tra i popoli isolati di alcune comunità indigene amazzoniche (Yanomami in Venezuela; Ashaninka in Perù; Shuar-Jivaro in Ecuador; Juruna-Xipaya, Arara e Kayapò in Brasile; Nivaclé e Ayoreo in Paraguay), negli ultimi dieci anni ho coltivato i miei gusti giovanili traducendo in spagnolo gli album dei miei eroi preferiti».
In questo momento lo «scrittore-ricercatore, impegnato in studi archeologici sul campo e in progetti ecologico-ambientali», come si definisce, si trova ad Arequipa, capoluogo dell’omonima regione peruviana. «Il mio progetto è aprire una piccola casa editrice per iniziare a pubblicare quei fumetti, a partire da Zagor e Brad Barron. Inoltre, sempre qui ad Arequipa, mi sono iscritto da poco all’Universidad Continental, corso di laurea quinquennale in Ingegneria ambientale. Altro vecchio sogno di un naturalista mancato».
Uno come lui non poteva rimanere insensibile al caso che da tempo tiene banco nella sua patria d’adozione e che divide l’opinione pubblica: il nuovo aeroporto di Chinchero, un tipico villaggio andino situato su un altopiano. Studiato per soddisfare un flusso di 7.000 passeggeri al giorno, lo scalo richiederà un investimento di di 427 milioni di dollari e sarà il secondo del Paese, con tre piste lunghe 4.500-5.000 metri e larghe 60. I lavori, affidati a un consorzio sud coreano, sono ufficialmente iniziati il 12 aprile 2021 e dovrebbero terminare nel 2025, ma la data potrebbe slittare.
«La scelta di quel luogo può essere considerata inappropriata sotto molteplici punti di vista. Gli interventi di rimozione della terra hanno deturpato un paesaggio ondulato incantevole quantunque pericoloso per i voli a causa delle fitte nebbie e delle devastanti grandinate tipiche di quelle lande parzialmente circondate dalla Cordillera Urubamba, che si innalza, pittoresca e maestosa, fino a 6.000 metri e contro la quale gli apparecchi potrebbero schiantarsi». Non solo: «Vibrazioni ed emissioni sonore possono risultare dannose per i siti archeologici Inca. E quello di Chinchero è uno dei meglio conservati».
Ancora: «Con l’urbanizzazione correlata ad hotel, negozi, agenzie, parcheggi e centri commerciali si corre il rischio di una riduzione considerevole delle risorse idriche della laguna Piuray, che serve la stessa Cusco (la capitale dell’impero Inca, ndr). Va aggiunto che sono state palesemente ignorate altre opzioni più consigliate quanto a ubicazione e altitudine». Tutto questo «potrebbe generare un impatto negativo anche su Machu Picchu, che ha già raggiunto la capienza massima sopportabile di turisti. Quindi, in molti si chiedono cosa accadrebbe se i due milioni di visitatori diretti a Machu Picchu che ogni anno sbarcano all’aeroporto di Cusco dovessero raddoppiare o ancor peggio triplicare a causa dei passeggeri in arrivo da quello di Chincero».
L’aspirante archeologo è stato nella regione interessata dai lavori e la conosce bene. «Viaggiando in quelle magiche zone, ho avuto la percezione di un progetto infrastrutturale e urbanistico che contrappone crescita, progresso e sviluppo a credenze, tradizioni e divinità delle popolazioni locali; che oppone ricchezza a povertà, cemento a terra, avidità a purezza». Raffaello ha appoggiato costantemente le campagne di sensibilizzazione e protesta contro ‘l’aeroporto-tragedia’, com’è stato ribattezzato, e ha aderito alla petizione lanciata da Monica Ricketts, storiografa della statunitense Temple Universithy, da Gabriele Ramos, docente a Cambridge, e da Natalia Majlus, storica dell’arte. «Sono state superate le centomila firme. Il progetto ha destato dubbi e preoccupazioni anche in prestigiose organizzazioni internazionali impegnate nella salvaguardia del patrimonio mondiale, dal World Monuments Fund all’Unesco».
Ma il ricercatore cremonese ha fatto molto di più: ha messo il suo talento di scrittore al servizio della mobilitazione. «Del nuovo aeroporto ho parlato spesso con i miei amici di qui e, visitando quei reperti, circondati da un scenario ammaliante, direi quasi incantato, mi è venuta l’ispirazione del libro». 460 pagine intitolate ‘Il sacrista sciamano’ (Edizioni Progetto Cultura) e corredate da un’appendice sulla cosmogonia andina. La trama del romanzo, in cui il genere thriller si mescola con quello ecologico e la fantasia si fonde con la cronaca vera, ruota attorno al conflitto tra il direttore della società concessionaria dei lavori e il capo sciamano, che nessuno conosce e che si nasconde sotto la tonaca di don Victorio Pumacahua, il cappellano, l’assistente del parroco. Lui, l’eroico difensore dell’identità delle comunità locali, dei campesinos, dell’ambiente e dell’antica civiltà peruviana, entra in scena e combatte una sanguinosa battaglia «per evitare che venga demolito tutto quanto i conquistatori spagnoli non riuscirono a distruggere». Questo nel libro. E nella realtà?
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