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LA DEMOGRAFIA IN PROVINCIA

Allarme spopolamento: sono 31 i paesi a rischio

I piccoli comuni in crisi: il 27% dei centri abitati cremonesi potrebbe sparire entro 50 anni. Spettro desertificazione per metà del Casalasco, il nodo principale è la capacità attrattiva

Riccardo Maruti

Email:

rmaruti@laprovinciacr.it

03 Aprile 2024 - 05:25

Allarme spopolamento: sono 31 i paesi a rischio

Una panoramica di Voltido

CREMONA - Da Derovere, che conta meno di 300 anime sparpagliate in una fetta di campagna ampia 10 chilometri quadrati, fino a Casalbuttano, la ex ‘piccola Manchester’ oggi abitata da poco più di 3.700 persone, in provincia di Cremona sono 31 i paesi «ad alto rischio di spopolamento». In buona sostanza, oltre un comune su quattro (per la precisione il 27%) potrebbe «non avere più popolazione» entro i prossimi 50 anni, come si legge nel recente working paper di PoliS-Lombardia, l’istituto per il supporto alle politiche regionali.

Una prospettiva che suscita allarme soprattutto in area casalasca: è proprio nel territorio dell’Oglio-Po che si concentra il maggior numero di centri urbani apparentemente destinati a una desertificazione irreversibile. Il pericolo risulta, invece, prossimo allo zero nel distretto cremasco, dove il solo comune di Moscazzano è cerchiato in rosso.
Il fenomeno dello spopolamento riguarda per larghissima parte i micro e piccoli comuni. Con buona pace della sbandierata «rinascita delle periferie», mantra dell’immediato post-Covid. La misura della ‘deriva fantasmatica’ è il risultato di cinque indicatori incrociati da PoliS-Lombardia: densità abitativa, tasso di crescita naturale, tasso migratorio totale, indice di vecchiaia e quota percentuale di popolazione in età attiva.

Insomma: la traiettoria numerica dello sboom demografico non è né l’unico né il più importante dei fattori presi in considerazione. Lo chiarisce un dato su tutti: i 31 paesi cremonesi sotto la lente dei demografi hanno perso meno del 10% della propria popolazione nell’arco dell’ultimo ventennio. Il report spiega: «I comuni ad alto rischio della provincia di Cremona, con un tasso migratorio totale negativo (-1,7 per mille in media nell’ultimo decennio) presentano un segnale di allarme soprattutto per quanto concerne la scarsa capacità attrattiva che si va ad aggiungere, aggravandone il quadro, a un tasso di crescita naturale anch’esso negativo (-9,8 per mille)» (clicca qui per i dati).

L’attrattività delle campagne cremonesi, dunque, è la prima sfida da affrontare. PoliS-Lombardia descrive così la dinamica in atto: «Lo spopolamento del territorio è un processo degenerativo incrementale in termini di perdita di vitalità demografica e sociale. In altri termini: le aree che progressivamente perdono popolazione, attività, attrattività, tendono a farlo sempre più. Si instaurano circoli viziosi difficilmente reversibili: soprattutto i giovani residenti, se non riconoscono motivi significativi per restare sul territorio, tendono a muoversi altrove per realizzare i propri progetti formativi, lavorativi, familiari, ricreativi. Con una ridotta base di giovani e giovani adulti, potenziali studenti e lavoratori, si riduce la capacità del territorio di produrre, offrire servizi, innovare. E il circolo vizioso si auto-alimenta e, nel lungo periodo, degenera. Talvolta inesorabilmente, fino all’esaurimento delle risorse demografiche».

Sono 265 i comuni lombardi ad alto rischio di spopolamento, pari al 18% del totale. A questi si aggiungono ulteriori 255 comuni a rischio moderato (17%). In Lombardia, è la provincia di Pavia a presentare la maggiore concentrazione di paesi che vanno incontro alla ‘sparizione’ (79, pari al 43% del totale), seguita proprio dalla provincia di Cremona. «Cogliere i segnali di attenzione che emergono dagli indicatori statistici — sottolinea il report — dovrebbe aiutare a orientare gli interventi correttivi da introdurre». A chiarire come servano azioni urgenti, specialmente nelle aree «già depresse da un punto di vista socio-demografico». La stagnazione e il progressivo invecchiamento della popolazione residente hanno acceso un segnale di allerta: lo spopolamento sarà una minaccia concreta «nel caso in cui non avvengano significativi cambiamenti di rotta».

Mentre una quota significativa di piccoli comuni va incontro allo svuotamento, nel 2023 la popolazione complessiva della provincia di Cremona risulta in lieve crescita rispetto all’anno precedente: il +0,38% rilevato dall’Istat — che porta i residenti totali a quota 353.500 — è l’esito di due opposte tendenze. Se, da un lato, il tasso di crescita naturale si conferma in calo (-0,53%), dall’altro, il tasso migratorio totale si dimostra in progressiva accelerazione (+0,91%). Nell’arco di un decennio — dal 2013 al 2023 — il territorio provinciale ha però perso oltre 8mila abitanti, con un decremento del 2,3%. Tra le ultime stime diffuse dell’Istituto nazionale di statistica rientrano anche quelle relative ai decessi: lo scorso anno ne sono stati registrati 4.109, dato in flessione del 6,7% rispetto al 2022. Più che eloquente, inoltre, il raffronto con il 2020, quando la tempesta pandemica aveva fatto schizzare il numero dei morti in provincia a quota 6.284.

La dinamica demografica cremonese è sostanzialmente allineata a quella nazionale, in base al report appena pubblicato dall’Istat. La natalità in discesa e la mortalità in forte calo si traducono in sei neonati e undici decessi ogni mille abitanti. A livello regionale, la popolazione risulta in aumento in Trentino-Alto Adige (+4,6 per mille), in Lombardia (+4,4 per mille) e in Emilia-Romagna (+4 per mille). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata (-7,4 per mille) e la Sardegna (-5,3 per mille). Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 mette in luce l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un processo, quello della denatalità, che dal 2008 (577mila nascite) non ha conosciuto soste. Calano i decessi (661mila), l’8% in meno sul 2022, valore più in linea con i livelli pre-pandemici rispetto a quelli che hanno caratterizzato il triennio 2020-22. Dai dati emerge un saldo naturale ancora fortemente negativo (-281mila unità).

Le iscrizioni dall’estero (416mila) e le cancellazioni per l’estero (142mila) determinano un saldo migratorio positivo di 274mila unità. In tali condizioni, che consentono di compensare quasi totalmente il deficit dovuto alla dinamica naturale con una dinamica migratoria favorevole, la popolazione residente ha la possibilità di rimanere, almeno sul piano numerico, in sostanziale equilibrio. La popolazione residente di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2024 è di 5 milioni e 308mila unità, in aumento di 166mila individui (+3,2%) sull’anno precedente. L’incidenza sulla popolazione totale tocca il 9%. Il 58,6% degli stranieri, pari a 3 milioni 109mila unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11,3%. Prosegue la riduzione della popolazione di cittadinanza italiana (53 milioni 682mila unità), 174mila in meno rispetto al 1° gennaio 2023 per una variazione pari al -3,2 per mille. Nel frattempo, sfiora le 200mila unità il numero di cittadini stranieri che nel 2023 hanno acquisito la cittadinanza italiana, dato in linea con l’anno precedente (214mila), pur se in parziale calo.

«SERVONO OPPORTUNITÀ E SERVIZI»
di Francesco Gottardi

CREMONA - «Quello che manca è sentirsi inclusi nella progettazione del proprio territorio». Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica di Milano, commenta con queste parole il report Polis che fotografa la tendenza allo spopolamento di 31 comuni della provincia di Cremona. «Considerato il trend nazionale sono dati che non stupiscono - continua Rosina - ma che dovrebbero farci riflettere: da un lato aumenta la longevità della popolazione dall’altro rallenta il tasso di natalità. Questo significa prima di tutto che diminuisce il numero delle persone ‘in età attiva’ ovvero quelle che rendono vitale un territorio e la sua economia».

Quello che si presenta come un invecchiamento generalizzato della popolazione rischia però di tradursi in un vero e proprio spopolamento per i comuni più piccoli: «Via via che gli squilibri generazionali aumentano diventa meno conveniente e sostenibile per i giovani rimanere in questi contesti. Così in molti decidono di trasferirsi dove ci sono più dinamismo sociale e opportunità economiche oltre che di partecipazione. Per questo motivo la sfida per i paesi e le città più piccole è quella di rendersi attrattivi: i giovani in particolare cercano le condizioni per essere attivi, coinvolti nella progettazione sociale ed economica del contesto in cui sono inseriti e allo stesso tempo si aspettano di trovare gli adeguati servizi per una buona qualità della vita».

Una combinazione, quella di opportunità e servizi, che ad oggi è possibile ritrovare con facilità nei grandi centri urbani e nelle metropoli ma che premia anche i piccoli comuni che sono stati in grado di metterla in campo: «La rinascita delle campagne di cui si è parlato dopo il lockdown è una tendenza presente e gli esempi sono diffusi a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale, non sono legati ad aree specifiche. Questo testimonia come i giovani cerchino un miglior rapporto con l’ambiente circostante dando priorità ad aspetti come quello naturalistico che fino a pochi anni fa non incidevano troppo sulle scelte di vita. Tuttavia non possiamo dimenticare come per fare queste scelte i cittadini vadano messi nelle condizioni di tornare ad abitare i piccoli centri. In questo senso collegamenti efficaci con il territorio e le città circostanti sono una condizione fondamentale affichè le persone tornino a immaginare la propria vita nelle aree interne. I comuni che non saranno in grado di mettere al centro l’attenzione per le rinnovate esigenze lavorative, oltre che sociali ed culturali, dei propri abitanti andranno verso un inesorabile spopolamento».

E nella ricetta contro l’esodo l’attrattiva da esercitare non è rivolta solo verso i giovani: «Pur tenendo conto di come il dato culturale e quello sociale siano strettamente collegati - conclude Rosina - va registrato come il tasso di natalità tra la popolazione italiana sia nettamente inferiore a quello degli stranieri nel nostro paese. Trattenere i giovani non basta, bisogna essere in grado di esercitare una forte capacità attrattiva anche verso l’esterno».

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