L'ANALISI
02 Aprile 2024 - 05:05
La Settimana Santa è iniziata con una discussione al bar. Un cliente stava affermando, a voce alta, che tutta la pioggia del mese di marzo sbeffeggiava le idee, da cirripedi, sul cambiamento climatico. Se piove tanto è perché fa freddo. Non ho resistito e ho voluto chiedergli se la pioggia abbondante potesse, per caso, derivare da maggiori fenomeni di evaporazione delle superfici liquide, oceani in primis. «Cosa c’entrano gli oceani — mi ha risposto malamente —, che saranno il 30% del pianeta!».
Ecco, sono più del 70%. Ho mescolato lentamente il mio caffè, pensando alla diffusione di questo non capire, secondo il quale non succede mai niente di preoccupante o di nuovo. Io, invece, guardo sconsolato il mio orto, con cui convivo da 36 anni, mai così spoglio. Sono mancate le giornate asciutte, quelle che permettono di stare in ottima compagnia del badile e dei lombrichi e di cominciare a mettere a dimora tutte le amate piantine che cresceranno senza bisogno di una laurea in pesticidi. Pure il mio spacciatore di prodotti per l’orto è sconsolato: torvo se ne sta all’entrata della bottega cercando di piazzare ad ogni passante sedani e insalate. Niente. Tutti fingono di non conoscerlo; lui li rincorre sollevando al cielo un vasetto di cavolo cappuccio, avvolto nell’ulivo, ma quelli svicolano e aspettano che passi il maltempo, come gli agnelli la Pasqua.
Un orto brullo mette tristezza. Lo sanno bene gli appassionati, per lo più in pensione, che finiscono col curvare la schiena e scardinare quel po’ di legamenti residui per la felicità che sa produrre qualche etto di piselli freschi e una manciata di rucola primaverile.
Perché è questa la stagione del ripartire, grazie alla forza simbolica del prendersi cura di semi, tuberi e gentili piantine; accompagnarne la crescita. Naturalmente succede che qualcuno rivendichi il proprio orto come migliore di quello del vicino di casa; forse addirittura dell’intero Veneto se non dell’Europa intera; c’è sempre qualche tizio che si convince di dover esibire le patate più grosse e i cetrioli più lunghi. Rivalità prive di senso, perché non abbassa il colesterolo lasciarsi prendere da un’euforia competitiva che sarebbe del tutto fatua. L’orto è pacatezza. È lenta osservazione. È apprendimento di altri linguaggi.
Certo, avercelo a non troppa distanza da un aeroporto militare qualche preoccupazione assale: dopo l’annuncio proveniente da est, che se ci fossero degli F-16, si corre il rischio che un missilotto possa finire tra le patate e le zucche. Non sarebbe un belvedere.
E’ possibile che tutto si stia legando, dai cambiamenti climatici ai pericoli di guerra?
Ma che c’entra la guerra? Direbbe il cliente del bar per il quale il pianeta è di terre emerse. Altrimenti si chiamerebbe Oceano, mi aveva detto.
Non dovrebbe centrare niente, soprattutto in una settimana santa, ma dev’essere più forte di noi. Sempre di passione per le piantine si tratta, ma non sono più quelle da orto. Sono quelle che indicano dove stanno i soldati, la carne da cannone e soprattutto i civili, insomma quelli che aspettano che passi la guerra, proprio come gli agnelli.
Ma forse è proprio questa la faccenda. Le settimane sante passano. Anzi, volano.
È ciò che rimane ad essere un problema: l’orto collettivo, la società moderna che abbiamo contribuito a far crescere e al quale, temo, non stiamo dedicando la dovuta cura.
Perché è facile piantare fagiolini, che poi sanno come diventare adulti da sé, non occorre insegnare loro nemmeno le tabelline (è poi questa la potenza delle piante). Altra cosa è far crescere gli umani nell’orto civile. È un compito difficilissimo. Esigerebbe ortolani sapienti, lungimiranti, persino delicati e pazienti. Certe teste richiederebbero settimane di raddrizzamenti per farle puntare al sole e non al buio, in modo che riescano a leggere quel consiglio morale che ci farebbe vivere meglio: non uccidere. Imparando dalle piante dell’orto. Comprendendo, da quel fazzoletto di terra sotto casa, che non è impossibile convivere tra pomodori e cavoli, associarsi tra cipolle e carote e che si può abbellire il tutto piantando fiori, calendula e fiordaliso, ricevendo l’applauso pure delle api.
Ma ne vediamo di ortolani sapienti e lungimiranti? Li stiamo apprezzando in questa settimana santa? No, piove troppo anche sul nostro orto collettivo. Abbiamo surriscaldato l’intera società, sono evaporate troppe molecole di odio e follia. E quello che sale poi scende, impietosamente. Viene da immaginare, continuasse così, se germinerà, per il prossimo anno, un’altra Settimana Santa…
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