L'ANALISI
05 Marzo 2024 - 19:51
CREMONA - Due anni di offese, minacce anche davanti al bimbo nato dalla precedente relazione, di botte e di violenze sessuali, i rapporti intimi strappati con la forza, quelli subìti «in silenzio per paura di far del male alla bimba che avevo in grembo». La violenza fisica e la violenza psicologica, l’isolamento dagli amici, i chili persi, le notti insonni. Fino alla rinascita. La denuncia ai carabinieri, l’accoglienza e la protezione delle volontarie e della psicologa di Aida, l’associazione che aiuta le donne vittime di uomini violenti a riprendersi la vita in mano. Un anno in un casa rifugio con i figli, il lavoro. Finalmente, la luce. Ma quanto dolore, quanta sofferenza nel racconto di Maria (nome di fantasia, ndr), giovane mamma che rivive, oggi, l’inferno al processo per violenza sessuale aggravata e maltrattamenti a carico dell’ex compagno. Maria si è costituita parte civile con l’avvocato Elena Guerreschi.
In aula c’è un pubblico silenzioso, attento e attonito. Sono gli studenti dell’ultimo anno del liceo Beata Vergine: tre ragazzi e sei ragazze accompagnati dalle professoresse Susanna Bonfatti Paini (avvocato) di diritto, e Federica Ferrecchi di francese. I ragazzi si dicono «profondamente colpiti», perché «un conto è sentire queste storie nei tg o vederle raccontate in un video, un conto è sentirle dal vivo. Tutte le scuole dovrebbero fare questa esperienza» che rientra nel progetto di educazione alla legalità della scuola. Le parole di Maria riempiono il verbale.
E arrivano al cuore dei ragazzi. La donna mette in fila date e circostanze. Il dolore riemerge con prepotenza, ma al processo bisogna narrare, spiegare, precisare, perché i giudici non conoscono il caso. E perché la prova si forma in dibattimento. E lei, Maria, narra, spiega, precisa come il compagno abusò di lei. «Mi sbatteva sul letto, mi strappava i vestiti, cercavo di spostarlo, urlavo ‘no!’, ma lui era più forte, non si spostava, anzi, a volte rideva». A verbale finiscono frasi come «le aggressioni fisiche avvenivano almeno una, due volte a settimana»; «Ha preso un coltello, è venuto dietro di me, mi ha strattonato per i capelli e mi ha ferito alla gola»; «Sono rimasta con lui per due motivi. Innanzitutto, era annientata psicologicamente da quanto stavo vivendo e avevo il terrore delle sue minacce. Sono rimasta per salvaguardare la mia famiglia». Il 21 maggio l’uomo si difenderà.
Fuori dall’aula, i ragazzi commentano «l’esperienza molto istruttiva». Leonardo: «C’è un’ enorme differenza tra sentirne parlare e sentire una persona raccontarlo. Senti la concitazione nella voce, riesci a carpirne le sfumature ed è un qualcosa che sicuramente ti lascia un segno e ti fa capire la sofferenza». Nicola si dice «ammirato dal coraggio con cui la signora ha testimoniato: credo sia molto difficile. Purtroppo, quasi quotidianamente sentiamo storie di violenza al telegiornale, sentirle dal vivo... hai un altro punto di vista».
Riccardo: «È stato molto interessante aver toccato con mano il processo, viverlo sulla propria pelle». Barbara: «Mi ha colpito molto la volontà e la determinazione con cui la signora ha rivissuto, di nuovo, lo shock anche davanti a persone estranee, sentirsi messa a nudo nel raccontare e scendere nei dettagli». Matilde si dice «molto colpita dalla lucidità della signora: ha raccontato i fatti, rivivendo tutto quello che ha passato. Non deve essere stato assolutamente facile. Ho ammirato il coraggio di parlare davanti a persone che non conosceva, i dettagli. Tanto di cappello alla signora che ha denunciato le violenze subite».
Benedetta si dice «colpita dalla forza di volontà della signora a ripercorrere tutte le scene nei dettagli. Mentre parlava mi sono posta il quesito sull’uomo: come si fa ad arrivare a trattare così male una persona? In primis, la donna in sé, ma poi anche davanti ai figli?». Alice: «Ho trovato difficile ascoltare alcuni passaggi, ad esempio quando parlava delle violenze sessuali, che non riusciva ad opporsi. Si vedeva il dolore che provava, le ferite erano ancora aperte, però apprezzo molto il fatto che sia riuscita a parlarne. Per me è un grande passo: se se ne parla, magari si può dare speranza anche ad altre ragazze, le si incoraggia a denunciare». Nicole pensa che «questa esperienza dovrebbe essere fatta in tutte le scuole: è molto toccante e sicuramente mi ha lasciato dentro qualcosa che è difficile da esprimere. Mi ha toccato molto il coraggio che ha avuto la signora». Come Giulia: «La signora è riuscita a trovare una luce, a uscire dal baratro grazie alla rete. Non era sola».
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