L'ANALISI
04 Marzo 2024 - 05:25
CREMONA - Ha percorso interamente a piedi la Patagonia, si prepara a fare altrettanto in Bosnia. «Una terra con una natura spettacolare, montagne innevate, boschi, fiumi dall’acqua cristallina color turchese». Dall’altra parte dell’oceano, nel punto più meridionale del Sud America, ci è andato sulle orme di Bruce Chatwin; sull’altra riva dell’Adriatico seguirà le tracce di sir Arthur J. Evans, il grande archeologo inglese che avrebbe scoperto il palazzo di Cnosso a Creta, ma anche quelle di se stesso. «E ho altri progetti nel cassetto», dice Maurizio Furgada, semplicemente ‘Mauro’ per gli amici, 63 anni, originario di Soresina. Ne aveva tanti, di progetti, quando doveva dividere la sua divorante passione con il lavoro da impiegato in Prefettura: chissà ora che, dal 4 gennaio, è in pensione.
Non c’è Paese o quasi dove Furgada, che è anche scrittore, non sia stato. Mai da turista, sempre come vero viaggiatore. Quello che predilige i luoghi inesplorati e isolati alle rotte di massa, gli spazi infiniti alle città, il silenzio ai rumori. «A Cape York sono stato con una famiglia di aborigeni australiani dopo che mi avevano scovato solo nel deserto privo di cibo. Un australiano che viveva sull’isola di Sulawesi, in Indonesia, mi ha insegnato l’arte di condividere il territorio degli squali pinna nera senza alcun pericolo di essere attaccato. Nel nord dell’Amazzonia ho incontrato gli indios Yanomami che mi portarono a contemplare la magnificenza dei loro templi, i Tepui, e delle valli verdi con la miriade di cascate che le circondano. Ho attraversato il Guangdong da Hong Kong al Vietnam senza disporre di una mappa». A chi gli chiede se c'è un posto dove ha seriamente temuto di perdere la vita, risponde che quel posto è nell’Amazzonia peruviana.
«Ero debilitato da infezioni intestinali che mi rendevano difficile persino il semplice gesto di alzarmi dal letto. L’unico medico in zona era appena partito e sarebbe stato assente per un paio di settimane. Ma all’ospedale di San Pablo de Loreto riuscirono in qualche modo a risolvere il mio problema. Uno degli anziani del lebbrosario del villaggio mi raccontò di essere stato operato da uno stagista di medicina». Quel giovane studente era Ernesto Che Guevara. In Patagonia, con i suoi ghiacciai e i suoi deserti, il vento instancabile e le immensità ai confini del mondo, c’è stato in quattro esplorazioni della durata di tre mesi ognuna per un totale di permanenza di uno anno. L’ha percorsa palmo a palmo, da nord a sud, da est a ovest. Sempre camminando. A volte approfittando del passaggio di un colorito camionista o di uno stupito abitante del posto che gli ha chiesto cosa ci facesse in mezzo a quel nulla. «La vera Patagonia è quella dove il tuo vicino di casa è a 400 chilometri di distanza». Si è spinto là dove si è inoltrato Chatwin, ma avventurandosi anche in luoghi più inaccessibili e misteriosi. «In certi momenti ho rischiato di perdermi, avvertendo però la viva sensazione che lui, Chatwin, fosse davvero al mio fianco».
E ora la Bosnia. Seguendo la strada aperta da un altro instancabile viaggiatore: sir Evans che, allora studente di 24 anni, la attraversò con il fratello Lewis nell’agosto del 1875. Furgada ha ritrovato le quasi 400 pagine del manoscritto originale di ‘A piedi per la Bosnia durante la rivolta’. La rivolta che, tre anni dopo, portò la regione dell’attuale ex Jugoslavia a passare dall'Impero ottomano a quello austro-ungarico. Era una terra pervasa da odii atavici, ingiustizie sociali e intolleranze religiose, non poi così diversa da quella uscita dagli accordi di Dayton del 1995 che sancirono le fine di una delle guerre più sanguinose e crudeli, della pulizia etnica e del massacro di Srebrenica. La terra che Furgada ha conosciuto.
«C’ero arrivato per pura casualità nella primavera del 1996. Dopo le prime missioni dedicate alla consegna degli aiuti umanitari ai profughi, ideai un progetto, con protagonisti un villaggio serbo e quello frontaliero musulmano, che portò alla nascita di una Scuola di Pace. Mi davano del pazzo». Nel 1999, per i risultati conseguiti con quell’attività coraggiosa, gli è stato assegnato il Premio annuale per la Pace della Regione Lombardia. Cremona ha ospitato per tre volte ‘I bambini del fiume Spreca’, com'erano soprannominati i ragazzi serbi e musulmani di quella Scuola.
«È dal 2020 che non mi reco in Bosnia, prima ci andavo ogni anno per le ferie. Il viaggio a piedi non raggiungerà per impegno e fatica i livelli di quello della Patagonia, ma non sarà nemmeno una passeggiata. Rivedrò le persone che ho aiutato, i bambini divenuti adulti che si sono sposati e che mi sono affezionati. Mi accompagnerà una di loro, Jelica». Anche stavolta metterà in pratica i consigli che gli diede un giovane basco e che ora può dare lui agli altri: «Zaino leggero, pochi indumenti, essenziali, una tenda, scarpe e giacca di goretex, maglia termica, acqua, cibo e nient’altro». Se un pezzo del suo cuore è in Patagonia, l'altro è in Bosnia. «Quando vado là, colgo un senso di riconoscenza verso di me, di amicizia». A Sarajevo andrà alla ricerca di un personaggio particolare, un volto conosciuto. «Ivo Markovic, un frate cappuccino che si è speso per l’integrazione e ha fondato un coro formato da ragazzi di etnie diverse. Prima del conflitto c’era un’altra Bosnia, quella di cui una volta mi parlò un giovane imam: ‘Sai qual era la nostra merce migliore che potevamo esportare e vendere al mondo? La convivenza’. La convivenza tra serbi, croati, ebrei e musulmani».
L’ambasciatore della pace sta lavorando a una sorta di trilogia sul paese dei Balcani costituita, oltre che dalla spedizione ormai imminente, da una seconda attraversata più in là nel tempo lungo i fiumi, dalla sorgente alla foce, e dalla ripubblicazione, un’edizione meno didattica e più raccontata, di ‘Dialoghi con la pace’, il libro-diario scaturito dall’esperienza della Scuola interetnica. «Cosa mi spinge a viaggiare? Nel movimento sento da sempre qualcosa di ancestrale, inspiegabile a parole, impagabile con il denaro. Non voglio altro». E dopo la Bosnia? «Che domanda! La Patagonia, ci tornerò. Prima o poi».
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