L'ANALISI
03 Marzo 2024 - 09:03
CREMONA - «È incredibile come, nonostante promesse elettorali e slogan, questo Governo sia riuscito a penalizzare tutte e tutti: i giovani, già poveri al lavoro, saranno ancora più poveri in pensione e per loro accedere alla pensione anticipata (senza attendere, cioè, l’età di vecchiaia) sarà, di fatto, impossibile». Va all’attacco Elena Curci, segretaria generale della Cgil cremonese, nel commentare una analisi dell’ufficio previdenziale del sindacato nazionale guidato da Maurizio Landini, basata su dati Istat dell’ultimo biennio, che evidenzia come i salari siano cresciuti del 4,4%, mentre la soglia minima per l’accesso alla pensione nel sistema contributivo sia cresciuta del 135%. Un combinato disposto che si traduce in una perdita di potere d’acquisto e degli importi delle pensioni.
«Dopo anni passati a navigare tra precarietà e bassi stipendi — sottolinea la segretaria generale della Cgil Cremona — anche la pensione sarà un percorso ad ostacoli tra precarietà e povertà per queste generazioni. Se analizziamo i dati per l’anno 2023 (al terzo trimestre), si evince quanto sia precario per gli under 35 il mondo del lavoro». Si legge nello studio: «Nella Provincia di Cremona 2.578 sono i contratti a tempo indeterminato contro i 9.675 a termine. E di questi, molti sono di breve o brevissima durata (settimane o mesi). Il divario di genere, inoltre, anche in questo caso è chiaro: di questi contratti 5.302 sono stipulati a uomini e 4.373 a donne».
Altro dato allarmante è quello relativo ai cosiddetti Neet, ovvero coloro che non lavorano e non studiano, «giovani fra i 15 e 29 anni che hanno gettato la spugna, parcheggiati in un limbo che annichilisce, una realtà che in provincia di Cremona arriva fino al 23%. Il dato dei disoccupati fra i 15 e i 24 anni si attesta intorno al 14% secondo l’ultimo dato rilevato, a fine 2022)». Sottolinea quindi Curci: «Non solo gli under 35 sono ad oggi penalizzati nel mercato del lavoro: quando riescono ad entrarci lo fanno con contratti atipici, precari e con retribuzioni basse. Sul fronte previdenziale poi saranno ulteriormente penalizzati».
Il sistema previdenziale — spiega la Cgil — prevede, per tutti coloro che hanno iniziato a versare i contributi dopo il primo gennaio 1996, un accesso al pensionamento anticipato solo qualora si raggiunga un importo minimo di pensione. «Con i salari che non aumentano — prosegue Curci — e le scelte del Governo di alzare questo minimo a tre volte l’importo dell’assegno sociale, pari a 1.603,23 euro, si rende questa possibilità praticamente impossibile per i giovani». L’esecutivo ha deciso di fissare il tetto dell’assegno previdenziale che funge da requisito di accesso alla pensione anticipata (64 anni di età e almeno 20 di contributi) a tre volte l’importo dell’assegno sociale. Da primo gennaio di quest’anno, dunque, i requisiti di accesso a 64 anni cambiano radicalmente: se nel 2022 bastavano 1.309,42 euro per accedere al pensionamento anticipato, adesso ne serviranno 1.603,23, con una differenza nel biennio pari a 293.81 euro, il 22,4% in più.
«Questo sistema, come tutte le scelte di questo Governo — sottolinea Curci —, penalizza i più poveri, come si evince dalle proiezioni: un lavoratore con una retribuzione mensile di 5mila euro lordi per 12 mesi che ha lavorato per 20 anni potrà andare in pensione anticipata con un importo di 1.620 euro. Dall’altra parte una lavoratrice delle pulizie che lavora part-time 6 ore al giorno con una retribuzione di 600 euro al mese per 13 mesi (7.800 euro annui) maturerà una pensione di 440 euro lorde, quindi non potrà accedere alla pensione anticipata. Non solo: non potrà neanche accedere a quella di vecchiaia a 67 anni e 20 anni di contribuzione, visto che non riuscirebbe a maturare nemmeno la soglia prevista nell’ultima legge di bilancio, nel 2024 pari a una volta l’importo dell’assegno sociale, ossia 534 euro». Ed è evidente — nota ancora la Cgil — che non è facile trovare lavoratori giovani con 5.000 euro al mese di stipendio visto le retribuzioni che i lavoratori hanno nel nostro Paese peggiorate da contratti collettivi nazionali scaduti e non rinnovati.
«Se pensiamo che, secondo i dati Istat del 2023, il 43% degli under 35 guadagna, in Italia, meno di mille euro, il 32,7% tra i 1.000 e i 1.500 euro, e solo il 24% supera i 1.500 euro al mese, ma senza superare i 2mila, comprendiamo quanto queste scelte stiano togliendo prospettive ai giovani. Esiste un’emergenza giovani nel nostro Paese, i dati — conclude Curci — parlano chiaro: è necessario rafforzare il patto intergenerazionale: se non si daranno certezze ai giovani sulla loro pensione futura si rischia davvero di andare incontro ad una crisi profonda dell’attuale sistema, e, ed è ancora peggio, si sta negando la prospettiva di un futuro a generazioni, che significa negare una prospettiva di futuro al nostro Paese».
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