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IL PUNTO

Proposte indecenti, generazione umiliata

Cinque euro all’ora per portare pizze e si deve pure pagare la benzina: una proposta-scandalo. Per recuperare i giovani alla voglia di essere parte attiva della società è necessario dare loro una prospettiva lavorativa reale che consenta di metter su famiglia e di acquistare una casa

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

03 Marzo 2024 - 05:30

Proposte indecenti, generazioni umiliate

Indecente. Con quale altro aggettivo si può declinare la ricerca di personale di una pizzeria con consegna a domicilio del territorio che offre ai giovani rider (tradotto in italiano: i portapizze a casa) ‘ben’ 5 euro all’ora a patto che ci metta lui il mezzo di trasporto (meglio l’auto del motorino, col tempo che fa le pizze arriverebbero fredde a destinazione) e la benzina per farlo viaggiare?

Facciamo due conti: 5 ore di lavoro, uguale 30 euro, meno dieci euro di benzina, fanno venti, che diviso cinque ore porta alla ‘bella’ cifra di 4 euro all’ora, meno l’ammortamento dell’auto (consumo gomme, usura...). La proposta indecente è stata pubblicata su un social e, fortunatamente, in coda sono comparse numerose reazioni che definire scandalizzate è perfino poco. L’offerta è stata ritirata, il post è scomparso a furor di popolo e l’offensiva dell’incauto esercente respinta con perdite. Ma il solo fatto che qualcuno si sia sentito autorizzato a pensare e rendere pubblica questa proposta di ‘contratto’ la dice lunga sul clima di ricatto economico ai danni dei giovani che si registra in alcuni casi. Oltre ai sindacati, anche Confcommercio ha preso le distanze con decisione. Segno che il limite questa volta è stato davvero superato. Va detto che sul territorio sono molti gli imprenditori virtuosi che non considerano i giovani carne da macello e offrono loro occasioni di lavoro regolarmente retribuite e una speranza di futuro. Quello dell’offerta scandalosa al rider, diranno i più, è un caso limite. Vero.

Ma in ogni dove, quando si parla di futuro, si punta sugli under 30 come risorsa da valorizzare e ci si lamenta della scarsità di ‘risorse’ (beffarda definizione per parlare di giovani donne e uomini) pronte ad accettare un’occupazione e ci si chiede come mai molti, troppi, posti di lavoro, restano senza un titolare. Beffarda definizione, dicevamo, perché se gli si offrono cinque euro all’ora meno le spese, più che di risorse si dovrebbe parlare di agnelli sacrificali sull’altare del profitto (altrui). E poi ci si lamenta perché ‘non c’è più voglia di lavorare come una volta’, perché ‘i giovani non hanno più fame’, perché... e via via con i luoghi comuni più scontati e scandalizzati. Una generazione umiliata che chiede solo un trattamento onorevole.

E i cosiddetti neet (Not in education, employment or training) aumentano. Loro sono la quota di popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione. Per recuperarli alla voglia di essere parte attiva della società è necessario dare loro una prospettiva reale, una speranza di vita, la possibilità di vivere il sogno di costruirsi una esistenza dignitosa potendo permettersi di metter su famiglia, di acquistare una casa, di avere risorse per mettere al mondo figli sapendo di poterli crescere serenamente e farli studiare.

Gianni Rosas, direttore dell’ufficio dell’Organizzazione italiana del lavoro (Oil) per l’Italia e San Marino, ha dato questa definizione di occupazione dignitosa: «È un lavoro che dà diritti, che è produttivo, che viene remunerato con un salario adeguato e che garantisce un sistema di protezione sociale che non faccia cadere il lavoratore in povertà nel caso in cui perda il reddito». Definizione perfetta che certamente non si può applicare a quanti offrono ai propri collaboratori più giovani cinque euro all’ora meno le spese.

Chi fa del ‘poltronismo’ dei ragazzi una questione generazionale, potrebbe riflettere sulle parole di Maria Cristina Pisani, prima donna eletta portavoce del Forum nazionale dei giovani, organo consultivo che si fa portavoce delle ragazze e dei ragazzi di fronte alle istituzioni, autrice del volume di ricerca ‘Generazione (senza) tutto’: «Gli studi realizzati dimostrano che, in realtà, i giovani italiani si mettono alla prova e, pur di emanciparsi economicamente, accettano delle condizioni di lavoro che non dovrebbero accettare. Non parliamo solo di lavoro sottopagato, ma di lavoro in nero». E ancora: «La generazione alla quale oggi qualcuno imputa una certa pigrizia, in realtà, ha visto diminuire di ben sette volte la propria ricchezza rispetto alle generazioni precedenti».

Il rapporto citato si intitola ‘Disuguaglianza intergenerazionale e accesso alle opportunità’ è stato redatto nel 2022 dal Forum nazionale dei giovani e ha coinvolto un migliaio di ragazze e ragazzi tra 18 e 35 anni. Emerge anzitutto che il grado di istruzione non garantisce più la salita nell’ascensore sociale. Il 54,2% degli intervistati conferma di aver svolto uno o più lavori in nero, senza contratto; il 61,5% di aver accettato un lavoro sottopagato; il 56,6% di aver ricevuto, e per lo più accettato per almeno due volte offerte di lavoro sotto inquadrato rispetto alle proprie competenze.

Ancora Pisani: «È evidente che esiste una difficoltà nel trovare giovani disposti a lavorare in determinati settori, ma è altrettanto evidente che le proposte fatte loro non sono allettanti come quelle che arrivano in altri segmenti di mercato, oppure da altri Paesi europei».

Emerge un quadro di assenza di garanzie e tutele che va ad alimentare la sfiducia nei giovani che si affacciano al mercato del lavoro. «Davvero chiediamo ai giovani con una laurea e magari un master di lavorare per riuscire a pagarsi una stanza in un appartamento condiviso, a 30 anni, e contemporaneamente abbiamo il coraggio di criticarli se non hanno più fiducia nel mondo del lavoro?», si chiede ancora la presidente del Consiglio nazionale dei giovani. Stante questa situazione non c’è da meravigliarsi se, come afferma l’Istat, sono oltre 1,3 i milioni di under 35 (per lo più ad alto tasso di istruzione) che cercano all’estero una speranza di vita normale.

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