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IL PUNTO

Area omogenea, perché 3 è meglio di 1

Teoricamente, in provincia di Cremona, potremmo averne tre: del Cremonese, del Cremasco e del Casalasco. Teoricamente, perché a tuttora ne risulta viva, attiva e strutturata una sola

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

25 Febbraio 2024 - 05:30

Area omogenea perché 3 è meglio di 1

Grazie anche agli impegni presi con il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, i Comuni si sono trovati di fronte a una sfida epocale, con 235 miliardi di euro a disposizione a livello nazionale, per progetti utili a ridisegnare la mappa dell’efficientamento di reti, anche informatiche, e servizi oltre che di immobili pubblici, a iniziare dagli edifici scolastici, da rendere sicuri, green e tecnologici. Insomma c’è da traghettare l’Italia nel futuro dopo la grande crisi causata dall’epidemia del Covid.

Come è ben stato evidenziato nell’ultimo numero di Mondo Business, il magazine per le imprese del territorio allegato a ‘La Provincia di Cremona e Crema’, in provincia di Cremona progetti e cantieri avanzano meglio della media nazionale rispetto ai tempi previsti. Il tutto, però, mettendo a dura prova gli enti locali coinvolti, alle prese con procedure complesse e carenze strutturali di personale qualificato.

Come può un Comune con meno di 5mila abitanti permettersi uffici tecnici in grado di gestire correttamente partite di quella complessità?

In provincia di Cremona a superare quella quota sono solo una dozzina su 113, tutti gli altri ne hanno meno, il più piccolo, Derovere solo 296. O si rinuncia, perdendo l’occasione, o ci si unisce. Tertium non datur. Nasce anche per questo il concetto di area omogenea, figlio dalla riforma Del Rio del 2016 che prevedeva la soppressione delle Province creando, diciamo così, una ‘sotto provincia’ che avrebbe poi dialogato con la Regione. Teoricamente, in provincia di Cremona, potremmo averne tre: del Cremonese, del Cremasco e del Casalasco. Teoricamente, perché a tuttora risulta viva, attiva e strutturata una sola, il Cremasco.

Nata già nel 2016, primo presidente Aldo Casorati, sindaco di Casaletto Ceredano (quasi 1.200 abitanti), l’area omogenea è ora guidata da Gianni Rossoni, primo cittadino di Offanengo (oltre 6mila), guru della politica locale, che si è dotato di una squadra di ‘assessori’ - tutti sindaci - ed è diventata interlocutore sia della Provincia che della Regione. Ricopre, significativamente, anche il ruolo di presidente del Comitato di ConsorzioIT, società in house i cui soci sono i Comuni cremaschi, in pratica il braccio operativo degli enti locali aderenti la cui mission è favorire lo sviluppo e l’efficientamento dei servizi comunali e sovra comunali, in modo particolare nelle aree della transizione digitale, energetica ed ecologica oltre a rappresentare la Centrale unica di committenza per bandi e finanziamenti e per progetti sovra comunali.

La doppia carica è un segnale preciso: l’area omogenea è nata per scelta politica collettiva dei sindaci e non intende delegare ai tecnici le grandi scelte, assumendosene invece appieno la responsabilità. Nessuna cessione di sovranità, insomma. La società è un gioiello preso a modello dall’Anci, l’associazione nazionale tra i Comuni italiani, e ha attirato anche l’attenzione di amministrazioni locali esterne alla provincia di Cremona, che ne chiedono se non l’adesione quanto meno la collaborazione nella gestione di progetti specifici.

L’area omogenea è una realtà ora pienamente istituzionalizzata, figlia di un percorso lungo oltre sessant’anni. Il 15 maggio del 1962 questo giornale intitolava ‘Trenta sindaci hanno deliberato l’istituzione del Consorzio Intercomunale Cremasco’, figlio di un’intuizione di Camillo Lucchi, medico prestato alla politica, con il grande sogno della coesione del territorio cremasco.

Dal Cic alla costituzione di Scrp (Società Cremasca Reti e Patrimonio), attiva dal 1984 e poi chiusa per lasciare spazio a ConsorzioIT. Un percorso lungo, non privo di ostacoli, anche con momenti di grandi tensioni dovute per lo più a rigurgiti di iperlocalismo, poi però rientrate. Perché il progetto ha nel suo Dna un semplice ma forte concetto: l’interesse del territorio viene prima di quello della propria parte politica.

Proprio ieri al teatro San Domenico è andato in scena un momento di riflessione sul percorso fatto da quel lontano 1962, ma soprattutto di analisi sugli obiettivi futuri. Che non sono, come qualcuno tende a banalizzare, malintesi e impossibili sogni di fuga dalla provincia di Cremona per unirsi in improbabili matrimoni con territori vicini.

«Vogliamo essere interlocutori della Provincia e della Regione, migliorando le relazioni con i due enti», ha spiegato Rossoni in un’intervista al nostro giornale. A conferma il titolo della giornata di riflessione ‘Un territorio più unito per una provincia più forte’, che significa valorizzare le specificità senza andare a minare l’unità. Sessant’anni di esperienza che funziona perché sempre tarata sugli strumenti da mettere in campo.

Oggi l’area omogenea cremasca significa l’unione di 48 Comuni, per un totale di 160mila abitanti, che producono oltre la metà del Pil provinciale. Conclusa dall’intervento divertente e appassionato di Beppe Severgnini, che si potrebbe definire il ‘ministro degli Esteri’ di Crema e del Cremasco, l’incontro ha fissato i comparti fondamentali sui quali porre l’attenzione nei prossimi mesi. E sono quello delle infrastrutture e del supporto alle imprese, della politica sanitaria territoriale, della mobilità dolce e dello sviluppo delle Comunità energetiche, della formazione con il potenziamento dei corsi Its.

È di dicembre l’intesa con l’amministrazione provinciale del regolamento che disciplina la struttura e le funzioni dell’area omogenea stessa. Come si diceva, oltre a quella Cremasca, è formalmente possibile anche la creazione di quelle del Cremonese e del Casalasco. Anzi, lo stesso Rossoni ne auspica lo sviluppo: «Speriamo che vengano costituite al più presto e possano essere protagoniste». Perché questo è nell’interesse dell’intero territorio provinciale, che finalmente potrebbe iniziare a parlare e a progettare il proprio futuro per grandi aree. Un concetto ben chiaro a Valeria Patelli, sindaco di Calvatone e consigliere provinciale: «Sono convinta che per poter avere un dialogo maggiore e più puntuale con gli enti superiori, regionale e provinciale, il territorio casalasco debba andare in questa direzione, costituendo per il futuro la propria area omogenea sulla scorta dell’esempio a mio parere virtuoso dell’area cremasca, e debba iniziare concretamente a parlare con un’unica voce di quelle che sono le esigenze dei nostri sindaci e soprattutto dei nostri cittadini. La voce quindi deve essere quella di un territorio unito e coeso». Parole fin qui nel vento, chissà se qualche candidato sindaco, magari dei Comuni più importanti, non abbia voglia di mettere in agenda la questione nell’imminente campagna elettorale che vedrà alle urne un’ottantina di nostri Comuni. Sarebbe un gran bel segnale.

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