L'ANALISI
26 Febbraio 2024 - 05:05
Alfredo Azzini col figlio Carlo in bici
SORESINA - L’immagine di Einstein che nel 1931 sfreccia in bici nel campus del Caltech California Institute of Technology è un’icona sia della storia della scienza che della bicicletta. Sembra che sia anche merito dell’azione ossigenante delle due ruote se il cervello di Einstein modificò per sempre la nostra prospettiva sullo spazio e sul tempo. Con quasi duecento anni di vita alle spalle, questo stupefacente veicolo sta vivendo la sua terza giovinezza, oggi più che mai simbolo di locomozione sostenibile.
Il soresinese Alfredo Azzini ha compreso il valore di questo «strumento tecnologico» e ha deciso di rendergli omaggio con un museo e due libri che ripercorrono la storia della bicicletta nella sua evoluzione tecnica e nella sua funzione sociale. Alfredo Azzini, laureato in Giurisprudenza di professione commercialista è una figura poliedrica da sempre molto presente nel tessuto sociale della cittadina: «Nella mia vita posso dire di aver coltivato innumerevoli passioni e Soresina è diventata il luogo ideale dove fare esperienze e coltivare interessi. Negli anni ho preso parte alle più importanti associazioni del territorio come Il Soffietto, l’Aido, Gli Amici della lirica. Sono da sempre appassionato di motori e meccanica e nel 1991 ho visto la nascita del club Nino Previ di cui sono stato presidente per diversi anni. L’interesse per la bicicletta prende però il sopravvento perché condiviso con mio figlio Carlo.
Se tutte le storie hanno una data d’inizio, la nostra risale precisamente al 25 novembre 2008 quando andiamo dal ciclista del paese Franco a ritirare il regalo di compleanno di mio figlio, una Triumph Imperial Oil Bath.
Da lì tutto ha avuto inizio: il recupero degli innumerevoli pezzi nei posti più disparati, il loro restauro conservativo o integrale. Ma come in tutte le storie vi sono attori-coprotagonisti, persone che io e Carlo abbiamo incontrato strada facendo.
L’indimenticabile Augusto Colla, il burbero benefico, abilissimo meccanico, cultore della moto, snobbava bonariamente «i cancelli» (così chiamava le bici) che portavamo a casa in condizioni pessime. Il signor Finali di Caorso ci verniciava i telai mentre la cromatura spettava ad Elia di Lodi. Insostituibili Mario e Silvio che ci hanno sempre fornito materiale speciale e consulenza preziosissima. In tutti questi anni assieme a manubri, forcelle, selle particolari abbiamo avuto la fortuna di incontrare persone speciali che mettono cuore e passione in tutto ciò che fanno».
Quando i pezzi da collezione sono diventati tanti tra padre e figlio la domanda è sorta spontanea. «Ora dove collochiamo tutte le bici?».
Il signor Alfredo trova una soluzione: «Io e Carlo decidiamo di sistemare un’ala dell’edificio in cui viviamo, il palazzo Vertua-Robbiani costruito nel 1821 dalla nobile famiglia dei Conti Vertua. Una cornice perfetta per la neo-nata collezione privata A&C Azzini Velocipedi e Biciclette Antiche. Attraverso oltre 200 modelli facciamo conoscere i 200 anni di storia della bicicletta».
La collezione è suddivisa in dieci sezioni e ripercorre, in modo filologico, l’intera evoluzione tecnica dalle origini sino agli anni ’40 per le bici da turismo e agli anni ’50 del novecento per le bici da corsa. Dalle parole del soresinese traspare un grande entusiasmo per ciò che sono riusciti a realizzare. Aggiunge il collezionista: «Nel tempo il museo ha potuto contare su un numero sempre crescente di visitatori provenienti da tutta Italia e dall’estero. Nel 2023 le presenze sono state duemila circa. Tanti turisti arrivano da noi direttamente sulle due ruote perché la nostra città ha una posizione geografica invidiabile trovandosi a metà strada tra città murate. È possibile percorrere una ciclabile lunga quaranta km tra Pizzighettone, Soncino, Crema che in parte si sovrappone all’Antica Strada Regina. Si tratta di percorsi piacevolissimi in mezzo alla campagna cremonese».
Non sono mancati i momenti indimenticabili che Azzini ricorda con orgoglio: «In questi anni abbiamo accolto visitatori illustri come il campione di ciclismo su strada Francesco Moser e l’ingegner Mauro Forghieri, direttore tecnico della scuderia Ferrari di Maranello».
Un lavoro immane che padre e figlio si sono diviso: «Carlo ha dedicato più tempo alla ricerca dei pezzi e ha abilmente imparato a restaurarli nel laboratorio che abbiamo allestito. Io ho preferito occuparmi dell’indagine storica che è confluita nella realizzazione di due libri prossimi alla presentazione. Ho così scoperto che la bicicletta nel 1800 divenne l’icona della questione femminile, assurgendo a simbolo di libertà e indipendenza. In questi anni ho imparato tanto: i velocipedi sono un mezzo affascinante che nella loro disarmate semplicità riescono a sopravvivere al tempo che scorre, il movimento meccanico della pedalata ci impone un ritmo diverso rispetto la frenesia della quotidianità. Il grande fisico Albert scrisse al figlio Eduard che la bicicletta è la metafora della vita perché per mantenere l’equilibrio non ci si può fermare ma ci si deve muovere. Come non dargli ragione».
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