L'ANALISI
20 Febbraio 2024 - 05:25
L'apertura del clima preelettorale e la recente scomparsa di Antonio Paolucci mi hanno spronato a riprendere alcune riflessioni di politica culturale, nello specifico riguardanti il sistema museale pubblico nazionale e cittadino, che, purtroppo, non ero ancora riuscito a mettere nero su bianco. Per affrontare il tema credo sia utile riprendere la definizione di museo approvata nell’agosto del 2022 in occasione dell’Assemblea Generale Straordinaria di Icom (International Council of Museums): «il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze».
Oltre ai moderni concetti di inclusione e sostenibilità, il museo si astiene dal profitto, che potrebbe compromettere il delicato equilibrio tra fruizione e tutela (quest’ultima inscindibile dallo studio e dalla ricerca) e si qualifica come strumento al servizio della collettività. La sua apertura al pubblico rende necessaria l’interpretazione del patrimonio custodito per poter costruire e proporre ai visitatori un racconto interessante, coerente ed emozionante.
Oltre a ciò alle istituzioni museali si chiede di prestare attenzione alla comunicazione etica ed efficace e di garantire esperienze diversificate, dove al valore educativo della fruizione del patrimonio si affianca quello ricreativo. Credo che sia sufficiente un rapido sguardo al sistema museale italiano per rendersi conto della distanza tra la realtà e il modello ideale. Il recente incremento del prezzo dei biglietti di alcuni importanti musei nazionali, l’introduzione del ticket per l’accesso al Pantheon, o la costante rincorsa ai numeri, sbandierando sensazionali cifre di accessi, come se la qualità di un museo fosse rilevabile esclusivamente dal numero dei visitatori, non sono, però, un’avvisaglia di virata verso l’ottica del profitto?
E se queste istituzioni fossero realmente al servizio della società, cruciali per il suo benessere, come si è sentito dire più volte negli anni della pandemia in riferimento ai «servizi essenziali» da garantire durante i lockdown, come si spiega l’esiguità delle risorse (umane ed economiche) destinate a questo settore, spesso insufficienti anche per l’operatività quotidiana? Per quali ragioni, malgrado la centralità della comunicazione efficace, sono ancora molti i musei, soprattutto civici, a non aver investito a sufficienza nelle competenze digitali, assumendo nuovo personale o formando quello già in organico, e sistematizzando le buone pratiche emerse forzatamente negli ultimi anni?
E, in chiusura, per quali motivi risulta così difficile progettare delle esperienze in cui educazione e piacere, ricerca e divulgazione non riescano a coesistere in un'unica, variegata e qualitativamente elevata proposta culturale? Declinando questi interrogativi al nostro territorio, e tenendo conto del desiderio espresso in questi giorni di candidare Cremona a Capitale Italiana della Cultura, spero che nei programmi elettorali ci sarà spazio anche per strutturare una concreta politica culturale attenta a tutte le istituzioni museali pubbliche e che guardi il patrimonio nella sua interezza.
A mio avviso un occhio di riguardo andrà sicuramente riservato alla nostra pinacoteca civica che, vale la pena ricordarlo, custodisce uno dei capolavori di Caravaggio, ovvero il ‘San Francesco in meditazione’, e che, purtroppo, è forse un po’ ai margini nelle dinamiche culturali della città. Ritengo opportuno che i futuri amministratori riflettano su quale sia oggi il ruolo di questa importante istituzione e quali possano essere le sue potenzialità, magari inespresse, nel contesto cittadino.
Mi aspetto una concreta progettualità di intervento, individuando con coraggio le risorse umane ed economiche adeguate, migliorando la comunicazione digitale, attualmente poco efficace, e cercando di garantire l’equilibrio tra iniziative forse più vicine agli addetti ai lavori e altre più inclusive, ma ugualmente di alta qualità. Parlando di inclusività mi riferisco anche agli orari di fruizione delle attività poiché, per esempio, le visite guidate speciali con il conservatore organizzate infrasettimanalmente alle ore 16 escludono una notevole fascia di pubblico lavoratore potenzialmente interessato. Sarebbe interessante poter discutere apertamente di queste tematiche senza pregiudizi e retorica, recuperando l’importanza della competenza e l’usanza del confronto pubblico, durante il quale le critiche si muovono per costruire e non per polemizzare a vuoto.
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