L'ANALISI
IL CASO
26 Gennaio 2024 - 05:20
CREMONA - Ha 56 anni, una invalidità all’80% legata ad una forma tumorale metabolica e a dicembre ha perso il lavoro dopo una promessa, rivelatasi falsa, di tempo indeterminato. Ora i tentativi di trovare un’altra occupazione si stanno scontrando con la diffidenza («e ignoranza», precisa) di chi vede la sua condizione di salute come un limite invalicabile. A un mese da una legge storica come quella sull’oblio oncologico, che tutela gli ex pazienti dalle discriminazioni legate alla malattia, la storia di una cremonese pesa come un macigno. «Con tutti i problemi che ho — è la risposta che ha ricevuto la donna all’ultimo colloquio, concluso con una bocciatura — ci manca solo che mi debba fare carico anche dei suoi».
Ed è dopo queste parole, definite «dure e insensibili», che la cremonese ha deciso di raccontare le sue ultime settimane. Fatte di umiliazioni e timori per il futuro. La donna precisa fin dall’inizio che non è a caccia di vendette né intende puntare il dito verso i datori di lavoro mancati. «Voglio solo dimostrare che purtroppo, mentre si parla continuamente di inclusione — spiega —, la realtà è che siamo indietro anni luce: le disabilità o invalidità vengono ancora viste da molti solo ed esclusivamente come ostacoli e non come risorse da valorizzare».
Parte quindi dall’inizio: «Anni fa ho avuto un tumore che mi ha lasciato in eredità una invalidità all’80%, ma vedendomi nessuno lo capirebbe. Sono normodotata, non ho deficit fisici, guido. E sono in grado di lavorare. Certo, prendo farmaci e la malattia metabolica mi crea alcune difficoltà imponendomi alcuni limiti, ma fino a poche settimane fa lavoravo senza problemi. Anzi, da gennaio avrei dovuto firmare il tempo indeterminato, in base a quanto mi era stato assicurato. Ma non è andata così. A causa di tagli al bilancio, è stato tagliato il mio contratto».
L’assegno per la ridotta capacità lavorativa, da meno di 500 euro, certo non basta per sopravvivere. E così si è rimboccata le maniche e ha iniziato a cercare una nuova occupazione. Decine di colloqui andati male, fino a quello lampo dell’altro ieri: «Cercavano una barista con esperienza e sono assolutamente qualificata visto che l’ho fatto per vent’anni. Incontro il titolare, gli spiego le mie esperienze lavorative assolutamente in linea con la figura cercata, poi aggiungo che io faccio parte delle categorie protette dalla legge 68. L’ho precisato perché va fatto, ma non penso che la cosa avrebbe comportato chissà quale problema. Anzi, le aziende sono agevolate nell’assunzione».
A quel punto però l’uomo ha troncato rapidamente il discorso, pronunciando le parole riferite sopra. «Sono rimasta talmente basita da non riuscire a rispondere — spiega sconfortata la 56enne —. Io con qualche piccolissimo accorgimento sarei stata perfettamente in grado di fare quel lavoro, ma non mi è stata data la possibilità nemmeno di fare una prova. Neppure di spiegare. In meno di un mese è il secondo ‘schiaffo’ che prendo, prima da una scuola e ora questo. Se nel mondo del lavoro conteranno sempre e solo i profitti e mai le persone, intese come essere umani, non andremo da nessuna parte. I fragili hanno già difficoltà in tutto e in molti casi le avranno per tutta la vita, ma includerli nel mondo del lavoro, dare loro un’opportunità, è possibile. Se tutti invece ragionassero come il datore di lavoro dell’altro giorno, considerando una invalidità solo un problema non superabile — conclude —, una persona come me come potrebbe mantenersi?».
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