L'ANALISI
22 Novembre 2023 - 05:30
CREMONA - Circa 146mila lavoratori contro circa 145mila pensionati: praticamente un rapporto uno a uno, che colloca la provincia di Cremona nella poco rassicurante media nazionale sull’occupazione. È allarmante, l’ultimo studio della Cgia di Mestre, perché mette in luce gli effetti provocati in questi ultimi decenni da tre fenomeni strettamente correlati fra loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e il lavoro ‘irregolare’. La combinazione di questi fattori sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, di conseguenza, sta ingrossando le fila dei percettori di welfare.
La ripercussione economica è evidente: in base all’ultimo dato Istat disponibile, tra Cremonese e Cremasco l’ammontare delle pensioni per anzianità e vecchiaia tocca complessivamente il miliardo e 615 milioni di euro lordi. In media un pensionato cremonese percepisce 18.572 euro lordi all’anno, mentre cinque anni fa ci si fermava a 17.330: l’incremento, considerando quello del costo della vita decisamente più impattante, non è affatto significativo per il percettore ma lo è per lo Stato.
Significativo anche il dato percentuale: a Cremona oltre il 41% dei cittadini percepisce sussidi statali. Prevalentemente legati all’anzianità, riguardano anche invalidità, reversibilità, pensioni indennitarie, invalidità civile, pensioni sociali e pensioni di guerra. Considerando tutte le voci, i pensionati cremonesi costano poco più di 2 miliardi l’anno. Il rapporto allarmante fra entrate e uscite è confermato da una recente analisi de ‘Il Sole 24 Ore’ che colloca la provincia all’ultimo posto in Lombardia con 109 lavoratori ogni 100 pensionati.
«Soluzioni miracolistiche non ce ne sono – dicono gli esperti della Cgia – e anche se fossero disponibili i risultati li avremmo non prima di 20-25 anni. Tuttavia, con sempre meno giovani e sempre più pensionati, il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale. Come? Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori ‘invisibili’ che svolgono attività in nero, secondo l’Istat circa 3 milioni. È necessario poi incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (al 50% circa). Inoltre, bisogna rafforzare le politiche per la crescita demografica e innalzare il livello di istruzione».
«Siamo di fronte ad un problema generazionale, nel senso che la popolazione invecchia e nascono pochi bambini. Ma il punto è: come invertire la rotta?». Per Elena Curci, segretario generale Cgil Cremona, le azioni governative devono essere maggiormente mirate a favorire giovani e famiglie: «Pensiamo ad esempio alla sorta di premialità pensata a partire dal secondo figlio – spiega –. A mio parere non basta, perché i dati ci dimostrano che le maggiori difficoltà si incontrano già con il primo figlio: perché aiutare solo dal secondo? E poi mancano le strutture e i servizi adeguati, per favorire la donna garantendole di poter continuare a lavorare. Servono veri incentivi alle nascite. E poi servono interventi infrastrutturali, sulla viabilità e sul trasporto pubblico, per permettere ai giovani di lavorare evitando fuggano altrove».
Fabio Caparelli, segretario Uil, aggiunge: «Se ad una persona mancano certezze, di un buon lavoro e di una retribuzione adeguata, i figli non li fa. Perché mantenerli costa e perché i servizi costano. Il Governo deve smetterla di giocare in difesa e costringere al risparmio, che comporta anche il venire a meno del patto generazionale. Tutta la società va riformata, partendo dalla politica, altrimenti non possiamo porre le basi per il futuro. Per fortuna esistono i pensionati, ma pensiamo anche a cosa lasceremo ai nostri nipoti. Iniziamo a pensare a come agevolare davvero i giovani, inserendoli in un mondo del lavoro sicuro. Un esempio? Gli asili, tutti, penso dovrebbero essere gratuiti».
Dino Perboni, Cisl Asse del Po, precisa che la risposta al problema della denatalità non può essere l’innalzamento dell’età pensionabile: «Nessun sistema è in grado di reggere in prospettiva se non si prevedono investimenti sulla famiglia e sui giovani. E non è certo da oggi che insistiamo su questi temi. È necessario invertire il trend generale, cominciando a considerare famiglie e figli come punti di forza ed opportunità, non come un peso. Fondamentale aumentare la presenza femminile nel mondo del lavoro e trattenere i nostri giovani garantendo stabilità e salari adeguati».
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