L'ANALISI
24 Gennaio 2024 - 10:28
Gabriele Barucca, a fianco l’ex monastero di Santa Monica
CREMONA - Ogni cittadino ha ricevuto come dono prezioso dal passato un’eredità plurimillenaria, indispensabile per costruire un presente e un futuro migliori. È indubbiamente un’eredità pesante da gestire e che richiede ogni attenzione e cautela, affinché possa convivere con le nuove necessità di una società in veloce trasformazione. Il suo obiettivo primario è quello di conoscere e far conoscere, conservare e valorizzare nel migliore dei modi questo patrimonio di beni culturali unico e irripetibile. Il nostro bene comune. «Non mi stancherò mai di sostenere che viviamo in un Paese stra-fortunato, erede di un patrimonio straordinario talvolta visto come un fardello — spiega Gabriele Barucca, da poco confermato nel terzo mandato alla guida della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Cremona, Lodi e Mantova —. Dobbiamo però metterci in testa che questa eredità va manutenuta. Un principio guida e cardine del ragionamento è l’esempio di casa nostra».
Conservare in maniera preventiva e programmata è dunque il tema imperante prima che sia troppo tardi?
«Non ci è più consentito fare e disfare, demolire senza criterio, con faciloneria, cancellare quello che non si ritiene più adeguato ai tempi, lasciare al proprio destino. Un concetto sviscerato in ogni modo e luogo in via teorica, ma che stenta a prendere una via di operatività vera. Questo è il grande limite».
Quali sono, a suo parere, gli aspetti che concorrono a definire l’identità culturale collettiva delle diverse comunità che vivono nel territorio? E quali i caratteri fondativi di questa identità nei quali le comunità si riconoscono visivamente?
«Sono il paese, la chiesa, il campanile, il castello, la piazza del mercato, la cattedrale, i ponti, il palazzo del Comune; su questi elementi si sono affiancati e sovrapposti, a volte inseriti bene a volte come violente lacerazioni, i segni della industrializzazione, delle periferie urbane, delle grandi linee di comunicazione».
In questo contesto, quale può essere il ruolo di cittadini, istituzioni e privati?
«Contribuire alla conoscenza e al rispetto dei centri storici, del paesaggio, delle opere d’arte e di quelle che conservano un valore meramente testimoniale nel contesto storico territoriale nel quale sono state prodotte. Sarà così possibile acquisire da questo patrimonio ulteriori valenze e significati permettendo l’elaborazione di nuovi valori culturali che concorrono a promuovere la crescita civile delle comunità locali».
Il campus della Cattolica a Santa Monica è ormai realtà consolidata, fervono i lavori all’ex caserma Manfredini che ospiterà il Politecnico e al complesso di San Benedetto dove si trasferirà l’Archivio di Stato, ultimi in ordine di progettualità il comparto Radaelli e San Francesco. Un tempo vuoti contenitori, in futuro grandi opportunità per Cremona.
«Santa Monica è stato un banco di prova importantissimo, San Francesco, invece, una ‘palestra’ dell’esercizio di riqualificazione e recupero di importanti parti della città con nuove funzioni d’uso che poco alla volta vanno definendosi. Di miracolo mi sento di parare riguardo a San Benedetto, dopo anni di lavoro si iniziano a vedere i primi frutti. Se tutto procede come spero, a febbraio sarà formalizzata la donazione al demanio da parte della Stauffer. Noi siamo già pronti con lo studio di fattibilità. Ecco che una zona molto degradata ma interessante dal punto di vista storico sarà recuperata. Ho qualche idea anche per Corpus Domini e Cavallerizza, ma se ne riparlerà».
Sarebbe utili un censimento dei beni cittadini pubblici?
«Decisamente sì, utilissimo per quantificare il patrimonio, fissarne il valore, razionalizzare alcune scelte, proporre idee legate a future funzioni. Inventarsi una destinazione d’uso non è semplice, tendenzialmente direi che andrebbe conservata quella originaria, ma capisco che, nella pratica, alcune strade alla fine risultano impraticabili».
Molti beni in mano privata sono abbandonati e in degrado.
«Ricordo il caso di villa Obizza, nel cremasco. Sono state aperte molte campagne per restaurare l’edificio, ma nessuna andata a buon fine. In questo e in tanti altri casi simili la Soprintendenza nulla può».
Si parla spesso di vincolo di tutela, che tanto spaventa privati e amministrazioni. Può spiegare in cosa consiste?
«Più di vincolo parlerei di provvedimento di tutela. Significa che gli interventi devono rientrare in una logica di conservazione che non significa avere le mani legate e non ‘trasformare’, ma agire secondo certi criteri stabiliti per legge. È soggetto anche ad una serie di sgravi fiscali e benefici sostanziosi».
Tutta colpa della Soprintendenza se i lavori sono fermi e si perdono i finanziamenti, si sente dire.
«Siamo frequentemente il capro espiatorio ideale ai limiti degli uffici tecnici, ma non intendo con questo fare polemica. I tempi strettissimi, i progetti non corretti, la burocrazia non sono di aiuto, la comunicazione talvolta non è efficace. Ma siamo sempre disponibili al dialogo e al rapporto leale con le amministrazioni. Al loro fianco, non un nemico da combattere».
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