L'ANALISI
24 Gennaio 2024 - 08:55
CREMONA - «Amerai il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso»: attorno al comandamento dell’amore e sulla base di uno schema di preghiera predisposto dai cristiani del Burkina Faso coadiuvati dalla locale comunità ‘Chemin Neuf’, si è celebrata quest’anno nella chiesa di Sant’Abbondio la veglia interconfessionale della Settimana per l’unità dei cristiani, coordinata da don Federico Celini, incaricato diocesano per la pastorale ecumenica. Al centro della convocazione, molto partecipata da fedeli delle diverse comunità ecclesiali (tra i presenti, oltre a diversi sacerdoti, anche il sindaco Gianluca Galimberti), la parabola del Buon Samaritano, tratta dal Vangelo di San Luca.
Le riflessioni del pastore Franco Evangelisti (Chiesa cristiana avventista), del vescovo Antonio Napolioni e del pastore Nicola Tedoldi (Chiesa evangelica metodista) e i successivi incontri a gruppi nelle salette del chiostro, secondo lo ‘stile sinodale’, hanno contribuito a farne comprendere e approfondire il significato e le concrete applicazioni. Quella del pastore Evangelisti è stata soprattutto una testimonianza di prossimità: l’incontro, in un ospedale, con una giovane donna nigeriana, di fede protestante, vedova, madre di due bambini, in gravi condizioni di salute. Era stata attirata in Italia con la promessa di un impiego.
Appena arrivata, il presunto datore di lavoro voleva metterla su una strada a prostituirsi. Al suo reiterato rifiuto («Dio mi ha fatta persona, il mio corpo non è vendita»), l'ha tenuta in casa una settimana a digiuno, la settimana dopo l'ha riempita di botte, infine con un fucile le ha sparato all'addome ed è rimasta paralizzata. È solo uno dei tanti casi di «un mondo che soffre, dove la vita di una persona non conta più niente».
Monsignor Napolioni - dopo avere ricordato nella fede e con affetto padre Doru Fuciu, parroco ortodosso romeno di Cremona e il professor Mario Gnocchi, già presidente nazionale e locale del Segretariato attività ecumeniche, recentemente scomparsi – ha auspicato una «santa fretta» per l’unità dei cristiani, sull'esempio di quella di Abramo nel servizio ai suoi ospiti a Mamre (raccontata dalla Genesi) e di quella del buon Samaritano. C'è però anche una «fretta malata», quella del sacerdote e del levita che nella parabola evangelica non vogliono accostarsi all'uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, e quella della «frenesia vuota» che accompagna il nostro tempo.
La «fretta buona» è invece la sollecitudine verso coloro che siamo chiamati ad accogliere. Infine il pastore Tedoldi ha sottolineato che «non è il fare le cose, ma è l’amore che porta alla vita eterna»; il sacerdote e il levita che non sono capaci di fermarsi a soccorrere il malcapitato mettono la disciplina (le norme ebraiche che ritenevano contaminante il sangue) prima della misericordia, mentre lo straniero, il samaritano, ha saputo cogliere «il cuore della legge». Citando il filosofo Paul Ricoeur e il cardinale Carlo Maria Martini, il pastore ha detto che prima di cercare il prossimo, occorre essere, farsi noi prossimo: «Il prossimo non è un oggetto sociale, è un comportamento in prima persona», «il prossimo non esiste già, lo divento io stesso davanti a un altro essere umano».
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