L'ANALISI
10 Gennaio 2024 - 07:59
CREMONA - «Ritiene la Corte che, per quanto non si possano condividere in toto le conclusioni cui è pervenuta l’impugnata sentenza, la stessa debba essere confermata, poiché gli elementi di accusa sussistenti a carico dell’imputato, per quanto non privi di una loro consistenza, sono comunque insufficienti per addivenire a un’affermazione di colpevolezza del medesimo». È uno dei passaggi delle 109 pagine di motivazione della sentenza d’assoluzione in appello - con formula dubitativa — per il medico cremonese Carlo Mosca, 50 anni, ex primario reggente del Pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari (Brescia), in primo grado assolto - con formula piena - dall’accusa di omicidio volontario di due pazienti Covid a marzo del 2020, in piena pandemia, attraverso la somministrazione di Succinilcolina e Propofol, farmaci letali se non associati all’intubazione.
Assoluzione con colpo di coda, allora: la trasmissione degli atti al pm perché indagasse con l’ipotesi di calunnia gli infermieri Michele Rigo e Massimo Bonettini, ‘accusati’ dalla Corte d’Assise di aver ordito «un complotto» contro Mosca, il primario da punire per averli sottoposti a turni pesanti ed eccessivi. Di aver confezionato «prove false ad hoc» per «puntellare l’esposto» da cui partì l’indagine. Prove «false» come le due fiale di Succinilcolina e la fiala di Propofol che «come d’incanto si materializzarono all’interno di un cestino di rifiuti». In proposito, la Corte d’Assise d’Appello scrive: «In definitiva, pertanto, per quanto questa Corte non ritenga (a differenza di quella di primo grado) che possa essere dimostrato con certezza che siano stati i due infermieri a ‘confezionare ad hoc la falsa prova’, ciò che maggiormente rileva è l’impossibilità di escludere ipotesi alternative a quella che vede il Mosca utilizzare quelle fiale».
Annotano ancora i giudici del processo bis: «È bene chiarire che se non appaiono affatto privi di consistenza taluni argomenti logici utilizzati dal pm per evidenziare la difficile sostenibilità dell’ipotesi che vedrebbe Rigo e Bonettini studiare ‘a tavolino’, a monte di tutta la vicenda, la manovra calunniosa in danno del Mosca a causa dei turni pesanti ed eccessivi cui li avrebbe sottoposti, ciò che in realtà non sembra potersi escludere con certezza è che i predetti, raggiunto l’intimo convincimento della colpevolezza del Mosca e ormai fin troppo immedesimatisi nel ruolo di investigatori, siano andati oltre quello che è stato definito ‘super attivismo investigativo’ (certamente condotto anche con metodi sleali) e scontratisi con gli insuccessi nel reperire prove dichiarative che supportassero la loro convinzione (nessuno tra i colleghi che avevano tentato di coinvolgere si era mostrato disponibile a ‘collaborare’), siano effettivamente finiti per creare fittiziamente delle prove altrimenti inesistenti».
Per i giudici «si tratta di un fenomeno, quello per cui anche investigatori istituzionali innamoratisi di un’ipotesi accusatoria, e frustrati dalla oggettiva impossibilità di dimostrarla, abbiano falsificato prove a carico del sospettato, certamente non nuovo (per quanto fortunatamente assai raro) nella storia giudiziaria anche del nostro Paese». Ed ancora: «Non si vuole sostenere che, nel caso di specie, vi sia la prova che ciò sia avvenuto, ma solo che neppure una tale ipotesi può essere esclusa con totale certezza». In conclusione, «per quanto talune argomentazioni contenute nell’atto di appello non appaiano affatto prive di spessore, ritiene questa Corte che gli elementi probatori disponibili e valorizzati dal pm non consentano un’unica ricostruzione dei fatti in linea con la prospettazione accusatoria».
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