L'ANALISI
13 Ottobre 2023 - 16:22
Il primario Carlo Mosca in aula in una foto d'archivio
BRESCIA - La Corte d’Assise d’Appello ha confermato l’assoluzione – con formula dubitativa, stavolta - per Carlo Mosca, 50 anni, il medico cremonese, ex primario del Pronto soccorso di Montichiari accusato di duplice omicidio volontario di due pazienti Covid in seguito alla somministrazione di Succinilcolina e Propofol, farmaci letali se non associati all’intubazione.
Sono i casi di Natale Bassi, 61enne di Ghedi e di Angelo Paletti, 79enne di Calvisano, a marzo del 2020 arrivati al Pronto soccorso con una gran fame d’aria e gravi patologie. Accusa shock che per 18 mesi - dal 25 gennaio del 2021 all’1 luglio di un anno fa - giorno della prima sentenza di assoluzione con formula piena – tenne inchiodato il medico agli arresti domiciliari nella villetta in cui è nato e cresciuto a Persichello e dove risiede l’anziano padre.
Mosca oggi era in aula, accanto ai suoi avvocati Elena Frigo e Michele Bontempi.
Il processo d’appello (presidente Claudio Mazza, giudice consigliere Massimo Vacchiano) si era aperto con la richiesta del sostituto procuratore generale, Francesco Rombaldoni, di rinnovazione dell’istruttoria dei testimoni e di una nuova perizia medico legale per stabilire se la quantità di Propofol trovata nell’encefalo di Paletti potesse davvero, o meno, essere stata somministrata post mortem, come ha sostenuto la difesa, o se si possa essere trattato di un falso positivo.
«Nel caso i giudici non la concedano, sulla scorta della sentenza di primo grado l’imputato va assolto (di nuovo) perché il fatto non sussiste». Perché senza l’acquisizione di nuovi elementi di prova o quantomeno la rivalutazione di quelli già analizzati, non sarebbe possibile arrivare alla riforma del primo verdetto emesso dalla Corte d’assise. Nel processo di primo grado, il pm, Federica Ceschi, aveva chiesto 24 anni di reclusione.
Gli avvocati di Mosca hanno rimarcato come la sentenza di primo grado non presentasse, invece, alcuna lacuna. I due principali accusatori (gli infermieri Michele Rigo e Massimo Bonettini) sarebbero del tutto inattendibili smentiti da sé stessi e dagli altri testimoni, così come le consulenze medico legali non lascerebbero margine di dubbio. Per i legali, il Propofol non fu somministrato al paziente in vita. Il dottor Mosca, avevano dichiarato, «vuole solo riprendere in mano la sua vita una volta per tutte».
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