L'ANALISI
04 Gennaio 2024 - 08:00
Nino Vialli davanti a un canva del fratello Gianluca
CREMONA - Domani sarà un anno dalla scomparsa di Gianluca Vialli. Alle 18,30, la famiglia farà celebrare una messa in sua memoria a Cristo Re, dove tutto iniziò. Dove Luca, bimbo, cominciò a tirare calci al pallone sul campo dell’oratorio.
Nino, fratello più grande di 8 anni, che anno è stato?
«È un ricordo continuo, quest’anno. Anche perché io negli ultimi anni, da che mi sono trasferito per lavoro in Thailandia, Luca l’ho vissuto poco. Ci sentivamo per telefono. Molte volte, dopo che ha scoperto la malattia, nel 2017, non mi rispondeva, non rispondeva ai messaggi, io credo per l’imbarazzo che gli chiedessi: ‘Come stai, come va?’. Mi rispondeva quando si sentiva proprio bene, euforico, sennò si negava un pochino».
Intorno a Natale di un anno fa vi hanno comunicato che non gli rimaneva molto.
«Mia moglie Nadia ed io siamo stati ininterrottamente a Londra in quei giorni e io ho avuto la soddisfazione di riscoprire un rapporto che comunque c’era. Un rapporto da fratello maggiore».
Il fratellone...
«Il fratellone che gli rompeva le scatole».
Un classico…
«Quando lui ha cominciato a giocare, si è trasformato da nostro fratello in calciatore con tutti i lati positivi e negativi dei calciatori di allora, soprattutto. Ragazzi tolti da casa giovanissimi, messi in un ambiente che approfittava di loro anziché farli crescere con tutto quello che andava dietro anche in termini di abbigliamento e di stile». (Nino ride)
Come si vestiva Luca?
«Lui era un ragazzo normale, poi quando ha cominciato ad avere un po’ di soldi, ha iniziato a vestirsi come tutti i suoi amici calciatori con quei giacconi che si usavano allora, spalle larghe. Inconcepibile per me. Oppure andava alle interviste in televisione con il cappello. Gli dicevo: ‘Devi toglierti il berretto quando sei al chiuso’. Luca lo faceva coscientemente. Mi diceva che sul berretto c’era lo sponsor. ‘Devo portarlo’».
Come sono stati quei giorni in clinica?
«Quando siamo stati là era ancora spiritoso. Quando faceva il drenaggio, soffriva molto per cui cercava di appisolarsi. Luca era cosciente che la fine si avvicinava, l’attendeva con impazienza, voleva smettere di soffrire, smettere di lottare che non era da lui. Ma la malattia era durata troppo a lungo».
Che cosa le ha detto?
«Quando siamo arrivati, ci ha detto alla sua maniera: ‘Non preoccupatevi: se voglio qualche cosa, ve lo chiedo’. Il 27-28 dicembre ci ha detto: ‘Voi siete i compagni ideali, perché siete qui, io so che ci siete’. Penso che la sofferenza fosse troppa. Si appisolava sempre più frequentemente, si svegliava poco e noi abbiamo solo potuto stragli vicino. Eravamo tutti lì quando è spirato. Sua moglie, le sue figlie. Ci ha lasciato le sue volontà».
Quali?
«Voglio che quando il tempo si aggiusta, vi riuniate per ricordarmi, che sia una cosa allegra, come quelle cose che si vedono nei film americani con la gente che si ritrova quasi per un party. Lui si immaginava una cosa del genere con la sua famiglia, i suoi amici più cari che ci ha elencato: gli Zjg e qualche calciatore. Noi ci siamo premurati di organizzarla».
Quando l’avete organizzata?
«Alla fine di agosto ci siamo trovati tutti a Grumello: la famiglia italiana, la famiglia inglese allargata, i suoi cognati, i suoi suoceri, qualche amico dall’Inghilterra, tutti gli Zjg. Una cosa rilassata. Erano passati solo otto mesi. Commozione tanta».
Gli Zjg, una seconda famiglia
«Gli piaceva molto stare con gli amici, qui a Cremona. Dopo che lui ha sistemato la casa di Grumello, li invitava regolarmente e passavano le serate insieme. Per lui era uno sfogo».
In questo anno avete avuto molte manifestazioni di affetto, di stima.
«Da allora in poi, è stato un susseguirsi. Persone sconosciute che ci contattavano. ‘Io l’ho visto una volta… , io ho avuto la sua maglia tramite…’ e questo da tutte le parti. L’altra sera con mia madre siamo andati a incontrare le signore dell’Aisla che volevano per la sede nazionale prendere delle fotografie delle luminarie con qualche membro della famiglia. Una di loro ci ha raccontato di essere entrata in un negozio a Cogoleto (Genova). ‘Lei è di Cremona? Ah, il nostro Gianluca’. Il ricordo degli anni della Samp».
Com’era il bambino Luca?
«È stato superiore alla media. Ci teneva a primeggiare. Era il primo della classe a scuola. Era spiritoso, simpatico, estroverso, faceva le gag. I miei amici e le mie amiche andavano matti per lui».
Quando ha deciso di fare il calciatore?
«All’età di 2-3 anni ha detto: ‘Voglio diventare calciatore’. Si applicava, rimaneva in cortile a tirare di destro e di sinistro contro la porta del garage. Era interista come me, mentre i miei fratelli e mio padre erano juventini. Gli piaceva molto Boninsegna, Bonimba. E poi Pelè, per tutti il numero uno in assoluto. Crescendo, ha avuto una venerazione per Johan Cruijff. Gli piaceva molto il gioco dell’Olanda».
Tutti avanti, tutti indietro.
«Lo studiava. Non potendo giocare a calcio in casa, per non rompere qualcosa, giocava con il Subbuteo».
Andava a vederlo giocare allo stadio?
«Qui a Cremona parecchie volte, qualche volta a Genova, qualche partita internazionale e poi poco, perché io non sono appassionato di calcio, però leggevo la Gazzetta, Tuttosport: solo la pagina della Samp e poi la pagina della Juve. Tutto il resto non mi interessava minimamente. Guardavo la Domenica sportiva, a Sky ci faceva ridere. Era troppo divertente».
Vi è capitato di giocare a calcio insieme?
«Qualche volta alla Baldesio, la domenica mattina».
Le partitelle...
«Sì, tra vecchi e giovani. E lui giocava in porta. Una volta sola, penso che lui giocasse alla Juve, è venuto a giocare in una partita over 40: Baldesio contro il San Zeno e lui ha segnato subito un gol, poi mi ha messo una palla in mezzo ai piedi davanti alla porta. Io ho sbagliato il gol e ha vinto il San Zeno 2-1. Il San Zeno aveva tirato fuori una prestazione, perché c’era lui. Ci ha asfaltati. Poi, però, abbiamo vinto il campionato».
Le ha mai chiesto consigli?
«Abbiamo parlato un po’ quando ha deciso di andare in Inghilterra. Mi ha motivato la sua scelta, la sua passione per questo calcio così poco interessato al risultato, ma interessato al gioco. Mi ha detto di aver dato un colpo di telefono a Lippi e ad altri per un consiglio. Lippi gli ha detto: ‘Vai tranquillo, perché tu hai una visione di gioco che altri non hanno’. Mi ha informato. Eravamo preoccupati della lontananza, però i primi tempi tornava abbastanza spesso e l’ha portata via bene, perché là è diventato subito un beniamino, ha fatto tanti gol, è stato apprezzato dalla squadra, ho sentito dire che ha vinto più da allenatore che da calciatore. Da qui mi giungeva l’eco dei suoi successi».
E quando Mancini lo ha voluto al suo fianco agli Europei?
«Me lo ha detto subito, a trattativa in corso. Forse lì mi ha chiesto un parere, si è confidato, aspettando che io gli dicessi qualche cosa».
Cosa gli ha detto?
«Che secondo me gli faceva bene stare nel giro. Lui non non voleva fare l’allenatore per non andare troppo in giro, per non rubare tempo alla famiglia. Quello era un ruolo che gli confaceva, perché gli impegni della Nazionale sono diradati nel tempo e poi non era in prima linea. Si poneva il problema di scavalcare Mancini, ma Mancini non si vergognava di chiedergli consigli. Anche perché quando erano alla Samp, Luca era il capo popolo».
A Cremona Luca è stato uno dei fondatori della cooperativa sociale Agropolis. Nel 2003, con Massimo Mauro e Cristina Grande Stevens, della Fondazione Vialli-Mauro.
«Era rimasto molto colpito dal fatto che calciatori o ex calciatori avessero avuto la Sla. Per noi è stata una sorpresa, è stata una sua decisione autonoma, ci ha informato a cose fatte. E, poi, ha cominciato a coinvolgere Cremona con le gare da golf».
Era un ottimo golfista.
«Ha iniziato a giocare quando era alla Juve. Non lo sapevo».
Come lo ha scoperto?
«Un giorno eravamo a Grumello. Davanti a casa c’erano due rettangoli di prato. Luca ha tirato fuori dalla macchina le mazze e poi ha tirato su delle zolle d’erba. Il giorno dopo Nadia è venuta in città. Sull’auto aveva dei ciuffetti d’erba. Poi è diventato bravo, ma Luca aveva la capacità innata di copiare il movimento degli altri».
Cioè?
«Non ha mai giocato a tennis da ragazzo, se non molto saltuariamente, però giocava bene. Lui copiava. Così gioca Nadal e ti sembrava di vedere Nadal, così gioca Federer e imitava Federer. Alla Baldesio facevamo i tuffi e lui faceva il 2 e mezzo da tre. La prima volta era atterrato di faccia, era venuto su paonazzo, però aveva doti acrobatiche, sapeva coordinarsi e copiare il movimento degli altri. Quando hanno fatto la partita di beneficenza per la nascita di Agropolis - la All Star cremonese contro la Nazionale cantanti - c’erano Oreste Perli, Merli, Sbuzzi, un po’ di canottieri, calciatori, cestisti. E Luca che ha giocato in porta e che si muoveva come Walter Zenga. Copiava i movimenti di Zenga: elegantissimo».
Un aggettivo che descriva suo fratello?
«Brillante. Dire spiritoso è limitativo, intelligente è limitativo. Brillante forse mette insieme tutta la sua personalità. E un perfezionista in tutto».
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