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LA STORIA

«È stata la curiosità a portarmi a Londra»

Vittorio Denti, 27 anni, ingegnere, racconta la scelta di lavorare all’estero: «Più che un cervello in fuga mi considero un ‘cervello esploratore’»

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

04 Gennaio 2024 - 05:20

«È stata la curiosità a portarmi a Londra»

CREMONA - Vittorio Denti, 27 anni, ingegnere informatico lavora nell’ambito dell’intelligenza artificiale in un’azienda di big tech. La sua vita è a Londra e torna in città solo per le feste, per rivedere la famiglia. Sguardo vivace, determinazione e voglia di fare esperienza nel mondo e una volta conseguita la laurea lavorare all’estero e a Londra è stata la cosa più naturale del mondo.

Qual è la sua storia?
«Subito dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano, ho deciso di iniziare a lavorare in ambito cloud computing e intelligenza artificiale. Ero alla ricerca di un’opportunità che potesse presentare sempre nuove sfide e consentirmi di crescere, dal punto di vista ingegneristico ma anche umano. Non avevo deciso a priori di andare a Londra, ma è stato l’aver trovato un'opportunità stimolante nel Regno Unito a portarmi lì. Non ho considerato l’Italia come punto di partenza perché è un ambiente con cui ho già familiarità. Inoltre, quanto a opportunità di lavorare in questo ambito, offre meno rispetto a realtà come Londra in cui le principali aziende americane di tecnologia hanno sedi importanti, quindi con un maggior numero di ruoli disponibili».

Quanto conta aver fatto una parte di università fuori dall’Italia?
«Al secondo anno di laurea magistrale ho studiato Machine Learning al KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma. Dopo un anno trascorso a Stoccolma l’andare a Londra, o in qualunque altra capitale europea, era quasi un passaggio normale da compiere, non vedevo alcuna barriera linguistica o logistica da superare».

Si considera un cervello in fuga?
«Più che un cervello in fuga mi considererei un ‘cervello esploratore’ in quanto sono stato portato all’estero dalla curiosità e dal desiderio di vivere esperienze nuove. A Londra, e prima ancora a Stoccolma, ho trovato ambienti in cui vi è molta apertura mentale. Accettano il rischio, prendono decisioni basandosi su dati e, in generale, vi è molto spazio per i giovani. Tutto è molto veloce, si accetta di commettere errori purché poi si impari da essi e si sia rapidi nel cambiare direzione facendo tesoro di quanto imparato dagli sbagli. Durante i miei anni al Politecnico ho conosciuto tante persone molto competenti e a volte non mi capacito di come l’Italia possa attirare meno aziende rispetto ad altre capitali europee. Quanto a competenze e talento, in Italia non manca nulla».

Che tipo di lavoro svolge?
«Lavoro come Machine Learning Engineer, un Ingegnere Informatico specializzato su intelligenza artificiale. Al momento mi occupo di tecnologie per pubblicità online, costruisco modelli di intelligenza artificiale in grado di predire le pubblicità ottimali da mostrare. Il lavoro consiste nel costruire il modello (questa è la parte più scientifica) e poi nel monitorarlo e integrarlo nell'intero sistema, con attenzione alla solidità dal punto di vista ingegneristico. Nell’ultimo anno abbiamo visto il potenziale di ChatGPT e di altri modelli similari. L’intero settore si muove molto velocemente e spesso un’innovazione dà inizio a una serie di innovazioni parallele. Per esempio, avere modelli sempre più grandi e complessi causa un aumento dei tempi e dei costi per allenare il modello e generare le predizioni una volta che inizia a servire traffico. Ora servirà sempre più focalizzarsi sulla parte ingegneristica per rendere costi e latenza accettabili per il funzionamento su larga scala di modelli sempre più complessi».

Per un italiano lavorare a Londra è diventato più difficile dopo Brexit. Che cosa è cambiato per lei?
«Io sono a Londra da quasi tre anni. Proprio dal 2021 per poter lavorare a Londra i cittadini europei hanno bisogno di un visto. Questo rende difficile (se non impossibile) trasferirsi nella capitale per le categorie di lavoratori non identificati come ‘skilled worker’ dal governo. La maggior parte delle persone che conosco, trasferitesi a Londra in questi anni, hanno un visto sponsorizzato dal datore di lavoro. Fino a un anno fa il contesto economico era molto favorevole e tante aziende in ambito tecnologia, finanza e consulenza sponsorizzavano visti. Nel corso del 2023 invece alcune aziende hanno iniziato a sponsorizzare meno o a farlo solamente per figure con diversi anni di esperienza, poiché un visto rappresenta sempre un costo ulteriore. Sicuramente ora è più difficile rispetto al passato, perché non si può andare a Londra senza prima avere un contratto di lavoro e un visto».

È stato complesso inserirsi nel mondo del lavoro londinese?
«Inserirsi nel mondo del lavoro a Londra ha presentato qualche complessità logistica perché si è cambiato Paese e ci si è inseriti in una grande azienda, tutti ostacoli normali che in breve tempo si superano. Il passaggio dal mondo dell’università a quello del lavoro presenta nuove sfide che si imparano a gestire nel tempo. Per esempio, lavoro su problemi tecnologici ma spesso ogni progetto ha anche una componente umana perché si lavora sempre con altre persone e bisogna riuscire a collaborare insieme in maniera ottimale. In questi anni ho sicuramente capito l’importanza del fattore umano nel completare progetti di successo: le conoscenze tecniche sono condizioni necessarie ma non sufficienti».

Quanto ha pesato la sua formazione nel lavoro che sta svolgendo?
«Aver studiato Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano e l’essermi specializzato su AI mi ha consentito di acquisire conoscenze tecniche e di compiere un percorso di crescita graduale. Prima conviene sempre costruire ottime fondamenta teoriche all’università, verso la fine degli studi iniziare a svolgere progetti pratici e cercare di applicare quanto studiato. Studiare all’estero infine rende quasi automatico il vivere in un Paese diverso e relazionarsi con persone di culture diverse. In generale penso che seguire passi incrementali (con alti e bassi nel mezzo) sia il modo migliore per raggiungere i propri obiettivi».

Mai pensato di tornare in Italia?
«Mi sto trovando molto bene a Londra perché ho la possibilità di affrontare sfide lavorative interessanti e la città offre moltissimo per il tempo libero. Al momento non sto programmando un cambio di città perché ho anche amici a Londra, tuttavia per il futuro non escluderei un ritorno in Italia. In particolare mi piacerebbe costruire una mia azienda agricola per applicare il potenziale dell’intelligenza artificiale e l’approccio ingegneristico in un settore fondamentale come quello agricolo, da cui deriva anche la sicurezza alimentare di un paese. Ho questo desiderio perché mi incuriosiscono sempre le nuove sfide e sono convinto che la tecnologia possa consentire all’agricoltura di accrescere la propria efficienza e liberare risorse da investire sulla trasformazione dell'output agricolo in prodotto finale, raggiungendo direttamente il consumatore. Vivendo all’estero ho notato quanto le eccellenze e i prodotti italiani siano ammirati, e soprattutto desiderati, in tutto il mondo».

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