L'ANALISI
12 Dicembre 2023 - 15:25
CREMONA - «Un esempio di stalking da manuale», per dirla con gli avvocati della donna tartassata dal vicino di casa che di lei si era invaghito. Ma che lei, felicemente sposata e madre di due figli, lo aveva decisamente respinto. Con insuccesso. Per otto anni, il vicino è diventato un’ossessione: dai bigliettini volgari lasciati nella cassetta delle lettere ai pedinamenti sino a quel tentativo di baciarla, in garage. Una famiglia così «devastata», quella della vittima, da vendere casa e trasferirsi altrove.
La Corte d’Appello di Brescia ha confermato la condanna a 2 anni di reclusione per lo stalker, classe 1951, accusato di atti persecutori. E già condannato nel primo processo a risarcire con una provvisionale di 15 mila euro la donna, parte civile con gli avvocati Simona Bracchi ed Erminio Mola.
Il 2011 è l’ anno in cui vittima e imputato diventano vicini di casa. «Nei primi tempi, un vicino di casa corretto e premuroso», spiega lei. Poi, le cose cambiano.
Anno 2012. Lui si invaghisce della vicina, comincia ad importunarla. Lo fa ogni giorno, quando lei scende in cortile. «Sono felicemente sposata», ribatte la vicina. Un giorno di maggio, l’imputato la prende per un braccio, la trascina nel suo garage, cerca di baciarla. Lei si divincola, scappa.
Nel 2012 la vicina trova nella cassetta della posta dei bigliettini. È lui. Le scrive di essersi innamorato, di sognarla. E sempre lui la controlla, la segue per strada. Sino a novembre la vittima non ne parla in famiglia, poi si toglie il peso. E mette in guardia il vicino: «Presento un esposto».
Le cose precipitano. Lui si vendica. I chiodi sparsi davanti al garage, il liquame sulla zanzariera, il sacco dell’immondizia rotto, i bigliettini volgari, le ingiurie, gli sputi e le minacce anche di morte, i due tentativi di investirla con l’auto. Nel 2014, la donna, esasperata, presenta querela. Ma lui non molla sino al giorno (dicembre 2019) del trasloco.
I vicini confermano davanti al giudice del primo processo. In aula la vittima racconta di essersi rivolta a una psichiatra, lei che in cura non c’era mai stata, per «il disturbo d’ansia reattivo a stressor».
«La condotta dell’imputato ha determinato altresì un concreto cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa che è stata costretta a non uscire più di casa da sola e a cercare un lavoro per allontanarsi dall’oppressiva presenza del vicino», aveva scritto il giudice di Cremona nella 14 pagine di motivazione della sentenza di condanna a 2 anni, perché «le modalità particolarmente aggressive della condotta (con molestie, insulti e minacce che hanno riguardato anche la sfera intima della persona offesa), l’intensità del dolo (resa palese dalla pervicacia con cui l’imputato ha continuato a molestarla), il fatto che le azioni temporali si siano sviluppate per un arco temporale vastissimo (quasi 8 anni) acuendosi addirittura durante il processo ed abbiano determinato un gravissimo stato psicologico di prostrazione in tutta la famiglia, impongono di discostarsi sensibilmente dal minimo edittale». Due anni senza generiche, perché «non vi sono elementi positivamente valorizzabili per la concessione». La prima sentenza ora è stata confermata dalla Corte d’Appello.
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