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LE STORIE DI GIGIO

Negli occhi di Pietro il coraggio della sfida

L’esempio di Bodini: ipovedente, musicista e studente. La gioia del premio Bittanti

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

04 Dicembre 2023 - 05:25

Negli occhi di Pietro il coraggio della sfida

Pietro Bodini, 18 anni compiuti lo scorso 30 novembre, con la sua chitarra

CREMONA - Si presenta in punta di piedi: «Non so se ho molto da dire». Come se per lui fosse tutto normale. Normale la sua patologia e la forza con cui l’ha affrontata. Normale il suo talento musicale e anche la sua generosità, riconosciuta con un premio prestigioso. Capelli biondi, zaino, giaccone blu e felpa grigia, Pietro Bodini, 18 anni compiuti il 30 novembre, garbato e spiritoso, è un ragazzo come tutti gli altri. Salvo l’essere ipovedente. «Ho un decimo all’occhio destro e uno al sinistro». Figlio unico di Massimo, operaio in pensione, e di Mary, casalinga, Pietro abita a Corte de’ Frati e frequenta l’Aselli. «Sono in quinta. I primi due anni sono stati abbastanza complicati più che altro per il Covid, ma dalla terza in poi le cose sono andate tutte in discesa. Per studiare mi servo di un ingranditore. Per il resto, riesco a fare un po’ di tutto».

Ha le idee chiare sul suo futuro: «Ho intenzione di iscrivermi alla facoltà di Psicologia, università di Pavia o Padova. La trovo una materia intrigante. È bello riuscire a comprendere gli altri, piano piano sto cercando di entrare in empatia con loro». C’è pure un piano B: «Gli studi artistici per lavorare come guida nei musei». Esisteva anche una terza opzione, poi però scartata: «Entrare in Conservatorio». Pietro, infatti, è un musicista: «Ho una chitarra acustica, che suono da bambino, e due classiche, una piccola, l’altra grande. E anche una elettrica, me l’hanno regalata l’anno scorso gli zii». Si esercita sotto la guida di Raul Rossetti. «Ho iniziato con l’acustica e i brani di Walt Disney, poi il mio maestro ha accettato di avvicinarmi alla classica. Con lo strumento l’unica difficoltà è leggere gli spartiti, così il mio insegnante ha fatto delle copie più grandi. Mentre interpreto un motivo non riesco a seguirlo contemporaneamente sulla partitura. Devo quindi memorizzarla».


Gli è già capitato di esibirsi. «Non potrò mai dimenticare quando ho suonato per mio zio Renzo, era ricoverato all’Istituto di Sospiro e purtroppo ci ha lasciato qualche tempo fa. Amava le opere liriche, aveva studiato musica. Volevo fargli una sorpresa e ho improvvisato un concertino nella sala da pranzo. Intorno si è riunito un gruppo di persone. I suoi consigli sono stati molti utili per me e anche per mio padre, che poi ha cominciato ad ascoltare compositori classici». È un neo maggiorenne sereno, ma in passato non sono mancati momenti difficili. «Ho avuto il mio periodo buio. Non tanto per la vergogna ma perché mi chiedevo il senso di quello che mi è capitato. Non trovando una risposta, ho ricominciato dicendo a me stesso: ma sì, quello che è fatto è fatto, vediamo di andare avanti».

Pietro Bodini con la targa del Premio Bittanti


Quasi anticipa la domanda: «Come vivo questa situazione? Me l’hanno chiesto in tanti. Essere ipovedente dalla nascita aiuta, se si può dire così, ci si abitua. Fosse dipeso invece da un evento traumatico, ne avrei risentito di più. Ho imparato a conviverci. Ci scherzo anche sopra con un po’ di autoironia». È entrato in contatto con l’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti. «La presidente, Flavia Tozzi, e la segretaria, Giulia, sono fantastiche. Ho conosciuto Sergio e Mara, anche loro con problemi alla vista. Ho iniziato a frequentare la sede con l’alternanza scuola-lavoro. Poi, l’estate scorsa, mi sono chiesto: perché non legarmi di più all’Unione facendo volontariato?». Anche stavolta si schermisce: «Niente di che: mi occupo del sito, masterizzo i cd, riordino le carte». E suona in occasioni speciali, come la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Un impegno che ha portato l’associazione di via Palestro a candidarlo per il Premio di bontà intitolato a Lidia Bittanti.


«È stata mia madre a darmi la notizia, sul telefonino mentre ero in classe, che l’avevo vinto. Ho pensato a uno scherzo, ero completamente spiazzato. Tornato in famiglia, ho domandato di nuovo se fosse tutto vero. Non credevo di aver fatto qualcosa di particolare per meritarmi quel riconoscimento, è più quello che ho ricevuto di ciò che ho dato». Il 18 novembre è uscito prima da scuola e, con i genitori, si è recato in Comune per ritirare l’onorificenza, assegnata anche ad altri due giovanissimi, Samuele Telò ed Elena Chiappetti. «Non immaginavo potesse esserci un’emozione tanto grande da battere quella provata per un’interrogazione in latino».


Sulla pergamena, la motivazione: ‘A Pietro per la passione e l’entusiasmo che dedica alle attività promosse dalla nostra Unione favorendo la partecipazione di tutti i soci’. «Ho messo la targa sul comodino di fianco al letto». È orgoglioso di quell’attestato, ma non si sente per nulla un eroe. «Non penso di poter lanciare messaggi a chi si trova nelle mie condizioni. Mi sento di dire solo questo: si riesce a vivere tranquillamente, tutta questa tecnologia e i progressi della scienza fanno ben sperare. Non c’è motivo di abbattersi». Si sottopone a controlli periodici. «Per ora la situazione è stabile. Per eventuali operazioni ci vorrà qualche anno». Il mattino dopo lo attende una levataccia per la gita con i compagni di classe al Cern di Ginevra, è ora di rientrare a Corte de’ Frati. A casa ci va in pullman. «Un amico mi sta aspettando alla stazione di via Dante. Comunque, mi muovo benissimo da solo. Se necessario, posso sempre chiedere informazioni in biglietteria o all’autista. Ho imparato a capire che gli altri non mi mangiano». C’è un’altra lezione che ha fatto sua: «Quella di arrangiarsi». Saluta e s’incammina.

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