L'ANALISI
10 Dicembre 2023 - 18:26
La presidente del Soroptimist club, Elisabetta Bondioni, la Garante Ornella Bellezza, il comandante dei carabinieri Massimiliano Girardi, l'assessora Rosita Viola e l'avvocato Cristina Pugnoli
CREMONA - Si parla poco di carcere al femminile, «eppure, le donne detenute esistono, ma da sempre sono legate ad una tradizione che le vede come minoritas, una minoranza, perché, da sempre il carcere è stato concepito per gli uomini e, da sempre, le donne hanno avuto una relegazione, anche per quanto riguarda la detenzione, in un ambito molto, molto chiuso. Al 30 giugno di quest’anno, le donne negli istituti penitenziari italiani erano 2.512, il 4, 37%». Sedici le donne madri con figli in istituto, 17 le donne madri con figli minori di 3 anni, 6 le donne gravide in carcere.
Ornella Bellezza, già direttore degli istituti penitenziari, compreso Cà del Ferro, il carcere di Cremona, oggi è Garante provinciale dei diritti delle persone private della libertà personale. Alla conferenza organizzata dal Soroptimist club Cremona (presidente Elisabetta Bondioni), in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani (oggi la celebrazione), nella sala Mercanti della Camera di Commercio, la Garante Bellezza ha tenuto un’appassionata e appassionante conferenza sulle condizioni delle donne detenute che, essendo una minoranza, purtroppo vengono ancora considerate un pezzettino da trascurare.
I numeri. In Italia ci sono 4 istituti femminili «tutti ex conventi, quasi tutti datati».
Tra uomini e donne detenute «non c’è ancora una vera equiparazione trattamentale». Articolo 27 della Costituzione: «Le pene non devono tendere solamente a punire chi si è reso colpevole di un reato, ma, se possibile, devono mirare anche alla sua rieducazione favorendone il reinserimento nella società, il carcere, pertanto, deve essere concepito come una struttura di rieducazione e di recupero del condannato». «Non mi piace utilizzare il termine rieducato - esordisce Bellezza -, perché il rieducare mi fa pensare ai bimbi che devono essere rieducati daccapo. Preferisco il termine risocializzare. Io penso che il sistema penitenziario, in qualche modo quello italiano, debba dare modo al soggetto che ha sbagliato di avere consapevolezza di sé, quindi di avere la possibilità di rinascere a nuova vita con la consapevolezza di autocritica degli errori commessi per inserirsi nuovamente nella società e non incorrere nel fenomeno della recidiva».
Fatta la premessa e tornando al tema, Bellezza ha citato la normativa internazionale (le Regole di Bangkok delle Nazioni Unite) e la normativa italiana, «che ha preso in considerazione la donna detenuta». Come la legge del 2011, n.62, «soprattutto per le donne madri e le donne che hanno al seguito i bambini. Quando leggo le idee di ciò che oggi si vuole cambiare all’interno delle carceri, soprattutto per la popolazione femminile, mi viene da pensare che il carcere andrebbe un po’ più vissuto dai nostri legislatori non soltanto per un mero giro di conoscenza, ma per un approfondimento di che cosa significa vivere il carcere. Questo può spiegare tante espressioni che, a volte, rasentano molto la superficialità».
«Poco è citato – ha aggiunto Bellezza - il report 2008 effettuato da una commissione del Parlamento europeo sui diritti delle donne». Il report mette in luce che le carceri sono pensate ancora dal punto di vista maschile, ma «anche tutto quello che si fa all’interno delle carceri femminili o delle sezioni detentive femminili è pensato sulla femminilità». Insomma, «non c’è ancora una vera equiparazione trattamentale».
«Quello che è il mondo esterno è esattamente riportato nel mondo interno di recluse, per cui tutte le attività, tutta la formazione, tutta l’istruzione ha quella direttiva: ritornare ad essere femmine, donne, quindi ‘ma certo, bisogna che si curi il proprio corpo. Ma certo, bisogna dare i cosmetici, la tintura per i capelli (negli anni Novanta era vietata, guai se io come direttore concedevo una tintura per i capelli: dal comandante maschio a tutto il personale maschio del carcere mi saltavano addosso, metaforicamente parlando). Ma così non va bene. Non è perché la donna che si trucca o non si trucca è meno o più donna perché è reclusa».
La formazione offerta «è di manicurista, estetista, parrucchiera: tutto il mondo del lavoro che ruota all’esterno come donna, all’interno come donna». Per quanto riguarda l’istruzione, «dalla scuola dell’obbligo alla scuola superiore secondaria fino alla laurea, nell’ultimo triennio c’è stata una sola donna laureata in tutti e 4 gli istituti e in tutte le 52 sezioni femminili. Gli uomini laureati sono molti di più. L’amministrazione penitenziaria dà più possibilità e più offerte agli uomini, perché sono in numero maggiore». Fa un parallelo, il Garante Bellezza: «Come docente negli istituti dell’amministrazione penitenziaria, non si parla della detenzione femminile. Io sono stata l’unica docente che ha affrontato la tematica in un paio di corsi, perché c’era un numero di agenti donne che sarebbero state destinate nelle sezioni per donne detenute».
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