L'ANALISI
05 Dicembre 2023 - 16:57
CREMONA - «Non vali niente», «fai schifo». La violenza psicologica lascia i lividi quanto un pugno: sulla donna c’è, ma non si vede. Come la violenza economica che colpisce in silenzio. Tre anni e 2 mesi di reclusione: è la condanna inflitta a un ex marito, 64 anni, bancario in pensione accusato di maltrattamenti sull’ex moglie di 10 anni più giovane, dal 2003 al marzo del 2022. È invece caduta l’accusa di maltrattamenti sul figlio minorenne, contestati dal 2015, l’anno di nascita del piccolo «molto desiderato» al marzo del 2022. In questo caso, il padre che non vede da un anno e mezzo il figlio, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Sono cadute le accuse di avergli dato del «deficiente» dell’«asino», del «cretino», di avergli dato delle cinghiate. L’insegnante, la pediatra, la catechista hanno trovato il bimbo sempre «sereno».
Infine l’uomo stato condannato a risarcire l’ex moglie e il figlio con una provvisionale di 3mila euro ciascuno. Il pm, Francesco Messina, aveva chiesto l’assoluzione del sessantaquattrenne per entrambi i capi di imputazione. Entro 60 giorni il Tribunale depositerà la motivazione della sentenza. Gli avvocato Mimma Aiello e Francesca Melillo, difensori dell’uomo, faranno appello. Hanno creduto all’ex moglie, i giudici, secondo i quali dal 2003 e per quasi 19 anni, il marito l’avrebbe offeso abitualmente con espressioni quali «non vali niente», «fai schifo», «vai a prostituirti così guadagni qualcosa! Anzi no, tanto il tuo ... non lo vuole più nessuno». Il marito l’avrebbe minacciata di morte, «controllando ogni suo movimento e ogni sua telefonata, pedinandola quando usciva di casa, tempestandola di telefonate per sapere dei suoi spostamenti, imponendole di indicare ogni mese sull’estratto conto le ragioni di ogni singolo esborso o prelievo monetario».
In alcune occasioni, l’avrebbe colpita con violenti schiaffi al volto. Maltrattamenti aggravati, perché commessi in presenza del figlio minorenne, vittima secondaria. «Sapevamo sin dal principio che sarebbe stata una storia in salita. Non ci sono referti del Pronto soccorso», ha esordito l’avvocato di parte civile Giacomo Cavalli, dopo aver ascoltato la requisitoria del pm, secondo il quale, a fronte del «costante logoramento psicologico» riferito al processo dall’ex moglie, ma negato dall’imputato, «non sono emersi elementi di prova esterni significativi».
L’avvocato Cavalli ha ricordato la Convezione di Istanbul: il trattato internazionale vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011, ratificata nel 2013 in Italia, ha come obiettivo di prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire penalmente i loro aggressori. La Convenzione definisce la violenza di genere come atti di violenza diretta sulla donna, perché identificata come donna, o che influisce sulle donne sproporzionatamente, che producono, o possa produrre danni o sofferenze fisica, psicologica, sessuale ed economica per le donne nonché la minaccia di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà sia nella vita pubblica che nella vita privata.
L’avvocato di parte civile ha richiamato anche la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2016, «che ha equiparato la violenza psicologica alla violenza fisica». E nel ripercorrere i fatti, ha replicato al pm: «Non trovo, in tutta onestà, evidenti segni contrari». L’uomo ha negato tutto, affermando di essere «cascato dalle mondo delle nuvole» quando i carabinieri gli notificarono la misura dell’allontanamento dalla casa familiare, scoprendo che l’8 marzo sua moglie lo aveva querelato. Fino a quel giorno, «per me era una normale vita di coppia, una coppia felice. In 20 anni avremo avuto due, tre discussioni, ma solo verbali». Ha negato di averla pedinata («Io lavoravo dalle 8 del mattino alle 5 del pomeriggio») e di averle controllato i soldi: «Poteva spendere ciò che voleva».
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