L'ANALISI
24 Novembre 2023 - 05:00
CREMONA - In questi giorni è stato ripetuto spesso: a prendere coscienza del problema devono essere in primis gli uomini. Ed è proprio questo l’obiettivo del Cam (Centro uomini maltrattanti) nato nel 2009 a Firenze e dal 2014 attivo anche in altre quattro sedi italiani fra cui una nella nostra provincia, a Castelleone. Si rivolge agli uomini che vogliono intraprendere un percorso di cambiamento, assumendosi la responsabilità di violenze fisiche, psicologiche, economiche, stalking. Allo scopo di salvare la relazione e soprattutto la donna maltrattata.
Che non sia facile lo si evince subito dalle parole di Fernanda Werner, psicologa attiva proprio al Cam cremonese dove attualmente sono seguiti 36 uomini suddivisi in tre gruppi da dodici. «Parliamo di percorsi molto lunghi, ovvero dai 12 ai 16 mesi, con incontri psico-educativi di gruppo a cadenza settimanale – spiega la professionista –. Ma anche una volta ultimato il percorso ci sono vari followup a distanza di mesi, che prevedono il coinvolgimento della partner: viene contattata al fine di capire se i comportamenti sbagliati siano cessati o meno».
É necessario fare un passo indietro: come gli uomini maltrattanti arrivano al centro? Stando ad un’indagine promossa a livello nazionale, oltre il 66% di essi lo fa volontariamente. «Il cosiddetto accesso spontaneo avviene quando l’uomo si rende conto di avere oltrepassato un limite e ha paura di farlo di nuovo – spiega Werner –. Ci sentiamo dire frasi come ‘Non avrei mai pensato di dare uno schiaffo alla mia compagna’ e ‘Non voglio rifarlo mai più’. Oppure questa richiesta d’aiuto parte proprio dalla partner, che pretende giustamente una presa di coscienza. Ci sono anche accessi volontari ma che, in realtà, sono quasi obbligati perché conseguenza dell’ammonimento del questore. Ed è questo che ha fatto incrementare i numeri negli ultimi anni: gli autori di atti persecutori faticano a rendersi conto che il loro operato rientra fra le violenze, quindi l’ammonimento è uno strumento importantissimo, direi cruciale. E prevede anche il suggerimento di intraprendere percorsi presso il Cam».
Infine gli accessi realmente obbligati, a seguito di sentenze che prevedono sospensione condizionale della pena a patto di ‘riabilitarsi’. «In realtà si può sempre dire no, ma a chi arriva scocciato facciamo capire che si tratta di un’opportunità – spiega la psicologa –. La percentuale di successo? Buona. E lo prova il fatto che, una volta ultimato il percorso, molti tornano per dirci che hanno riconosciuto fra i loro amici i campanelli d’allarme, i comportamenti sbagliati nei confronti delle donne». Acquisiscono cioè gli strumenti per riconoscere maschilismo, gelosie estreme, violenze verbali. Ed è lì che scatta il cambiamento. Non sempre, però, i percorsi si concludono col successo: «C’è chi abbandona il percorso, ma solitamente in quei casi siamo di fronte a problematiche più complesse da affrontare in altri modi». Non esiste un vero e proprio identikit del maltrattante. Werner spiega infatti che ad accedere al Cam sono uomini di ogni età ed estrazione sociale. Anche se, ammette, ci sono pochi giovanissimi.
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