L'ANALISI
15 Novembre 2023 - 20:19
L’ingresso della casa di riposo Busi di Casalmaggiore
CASALMAGGIORE - «Il Tribunale assolve...». E lui, Giuseppe Ranieri, direttore sanitario dell’Rsa Busi, abbraccia il suo avvocato. E insieme a Ranieri vengono assolti con formula piena - perché il fatto non sussiste - il medico Hugo Jesus Martinelli e l’infermiera Antonella Colombi, accusati di omicidio colposo, in concorso, dell’anziana paziente Eugenia Baroni, 82 anni. Tra 90 giorni la motivazione della sentenza.
Si chiude così, alle 16 di oggi, una storia triste, per «la povera signora Eugenia», per i suoi figli e nipoti (già risarciti con 420mila euro complessivamente), e «per gli imputati». Perché «tutti sono vittime», dirà l’avvocato Giovanni Benedini, difensore di Ranieri. Il 2 agosto del 2020, Eugenia, ospite nella stanza numero 28 del Nucleo B, al primo piano della casa di riposo, muore dopo un volo dalle scale con la carrozzina su cui si muoveva cinghiata. L’ottantaduenne è uscita dal reparto attraverso la porta d’emergenza allarmata non chiusa, ma «appoggiata».
Il 2 agosto cadeva di domenica. Quel giorno Ranieri, Martinelli, all’epoca medico del reparto, e la coordinatrice delle infermiere non sono in servizio. L’anno è il 2020 con la pandemia da Covid che mette sotto stress gli ospedali. E le case di riposo dove «giorno per giorno si deve pianificare, spostare i pazienti, isolarli. Non si può prescindere da questo contesto», sottolinea l’avvocato Donata Cappelluto, legale del medico Martinelli. A giugno, per un presunto contatto con un paziente Covid, l’anziana Eugenia viene messa in isolamento per quindici giorni in un’altra stanza, da sola. E per una persona affetta da wandering — «girovagare, vagabondare senza una meta o uno scopo, in risposta ad un impulso impossibile da controllare» —, confinarla in un’altra camera» comporta una serie di conseguenze. Eugenia aveva perso i suoi punti di riferimento, come la compagna di camera. Proprio perché era solita «girovagare», le cambiano la carrozzina per impedirle di spostarsi (la mettono su una di quelle carrozzine che non si possono spingere con le mani e «ci si ribalta sul posto»). Ma i cambiamenti «accentuarono i suoi disturbi comportamentali». A luglio, l’82enne viene riportata nella sua stanza. E torna a girare cinghiata sulla vecchia carrozzina.
A luglio, come ha ricordato il pm che nel rifarsi alla consulenza tecnica dei propri periti, per gli imputati aveva chiesto la condanna a 6 mesi di reclusione ciascuno, Eugenia per cinque volte tenta di uscire da quella porta. Ci prova il 17, il 19, il 21, il 22 e il 30 luglio «Purtroppo succede anche il 2 agosto». Per l’accusa, il direttore sanitario, che «ha un compito gestionale, avrebbe dovuto risolvere il problema della porta» magari lasciata «appoggiata» da qualcuno che magari andò a fumarsi una sigaretta. «Dopo quei cinque tentativi, il direttore sanitario doveva calcolare i rischi». All’82enne Eugenia, curata con ansiolitici (a letto protetta dalle sponde e cinghiata sulla carrozzina), il medico Martinelli «doveva somministrare una terapia più incisiva». E l’infermiera «aveva la possibilità di esercitare un controllo maggiore sulla paziente». Le funzioni cognitive di Eugenia erano peggiorate. Tant’è che in quei giorni si pensa di spostarla nel reparto Alzheimer, al piano terra. Il colloquio con i familiari è fissato per il 3 agosto.
«In quel momento, la terapia era idonea. Certo, si potevano usare altri farmaci soporiferi, si poteva legare al letto la povera signora, poi sarebbe stata la clinica lager. Ci sta tutto e il contrario di tutto, ma ‘tutto il possibile’, come ha detto il pm, è una espressione semantica», arringa l’avvocato Benedini. «La valutazione dei rischi fatta dal direttore sanitario era molto bassa. Occorreva molta forza per aprire quella porta», aggiunge l’avvocato Cappelluto. Una porta che «in quella giornata molto calda, per incuria di qualcuno, è stata aperta, dimenticandosi di chiuderla. Circostanza mai segnalata al direttore sanitario», prosegue l’avvocato Cappelluto, che al giudice consegna «un dato a favore: i cinque precedenti tentativi erano falliti, non sono andati a buon fine. Non c’era ragione di ritenere che la signora potesse aprire il varco e cadere dalle scale». Il difensore torna a parlare della pandemia: «Siamo nel 2020, il fatto va collocato in questo contesto. Non si può prescindere da questa situazione così difficile che non consentiva di riorganizzarsi».
Rientrata al lavoro dalle ferie il 20 luglio, la capa delle infermiere Colombi prende il diario clinico dell’anziana Eugenia e legge di due tentativi di uscire dal reparto. «Preoccupata dalla situazione», pensa: «Bisogna fare qualcosa». Parla con il direttore sanitario, il quale la informa di aver già contattato i parenti per decidere di trasferire Eugenia al Nucleo Alzheimer. I familiari si sono presi del tempo per decidere. «La mia assistita non aveva poteri di decidere sullo spostamento, men che meno aveva sulla terapia», evidenzia l'avvocato Fontanesi, difensore di Colombi, il quale ricorda come l’unica volta in cui l’infermiera decise di spostare un paziente «senza l’autorizzazione scritta», finì sotto procedimento disciplinare.
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