L'ANALISI
11 Novembre 2023 - 05:25
Alessia Bressani, 26enne cremasca
CREMA - «Convivo con le cicatrici, anche quando fanno male: sono diventata donna così». Alessia Bressani, 26 anni, è stata operata cinque volte per rimuovere ben 30 noduli al seno, fortunatamente tutti benigni. Il primo a 16enne. E ora lancia un appello alle coetanee, ma non solo.
«La prevenzione è fondamentale, anche in giovanissima età: lo so bene io, che ho scoperto il mio primo nodulo al seno a 16 anni, con l’autopalpazione. Da allora sono seguita dalla Breast unit dell’ospedale Maggiore, un team fantastico. Mi fido ciecamente di loro. Ho subito cinque interventi in meno di dieci anni».
Alessia lavora nello staff della comunicazione del sindaco Fabio Bergamaschi. «Fin da ragazzina ho imparato a tenermi controllata, sapendo bene di avere una familiarità importante, per via dei casi di tumore al seno che hanno riguardato le donne di casa. Ho sentito qualcosa di duro, come una pallina. E da lì è cominciata...».
Un caso tanto precoce, che Alessia era stata visitata dal senologo ancora prima che dal ginecologo. «Ho quattro piccole cicatrici, quando è possibile il chirurgo che interviene per la rimozione cerca di utilizzare la stessa — prosegue —: di sicuro il mio è un caso particolare, per fortuna i noduli non sono affatto comuni tra le ragazze. Ho però avuto modo di conoscere altre giovani operate. E mi sono confrontata con loro: è anche uno sprone ad affrontare la cosa».
Esperta di social network, Alessia li utilizza per lanciare eloquenti messaggi in favore della prevenzione. L’ultimo nei giorni scorsi. «L’ho scritto nonostante fosse già trascorso il mese di ottobre, tradizionalmente dedicato alla sensibilizzazione del tumore alla mammella — conclude —: sono una volontaria dell’associazione Susan Komen, che da anni è impegnata in questo campo, organizzando delle tre giorni di appuntamenti in diverse città italiane, da Brescia a Roma, che si concludono poi con una corsa podistica».
Nel suo post, Alessia scrive: «Lanciare questo appello ha sempre senso, in qualsiasi momento dell’anno, in quanto in Italia, quasi la metà delle donne a cui viene offerta gratuitamente la mammografia non aderisce. Tra le motivazioni principali c’è chi lo ritiene un esame sgradevole-imbarazzante, la paura dell’esito e il ‘preferisco non sapere’. Eppure, nonostante ogni anno siano 55mila le nuove diagnosi, la sopravvivenza è di oltre il 90% dei casi. Molte donne non conoscono cosa sia un programma di screening, non sanno fare l’autopalpazione o hanno un livello medio-basso di conoscenza del tumore al seno. Soprattutto, dicono i dati, le più giovani. E se l’argomento è tabù, chi lo spiega? La scuola? La famiglia? Alla fine, nessuno. Ha senso se ancora oggi ci sono sostenitori di tesi pericolose, come chi dice che la mammografia sia la causa del cancro al seno. Argomentazioni che rischiano di attecchire — sottolinea — se non trovano un terreno pronto culturalmente a evitarlo. Nemmeno io ero pronta. Certo, il mio caso è abbastanza anomalo. È consigliato iniziare a fare lo screening dai 50 anni. Io ho iniziato a 16. Sono cresciuta, sono diventata donna così. Per me essere donna è anche questo: convivere con le cicatrici, soprattutto quando fanno male. O quando le devi riaprire, ancora e ancora. La mia fortuna è stata quella di aver incontrato la Breast Unit di Crema, un’eccellenza a livello medico e umano. Un esempio di sanità pubblica che funziona, come dovrebbe funzionare anche per il resto, anche se purtroppo spesso non è così. Per la quale ha senso continuare a lottare, sostenere la ricerca ma soprattutto chiedere che venga sostenuta, fare informazione, perché sia così sempre e per tutte quante le donne».
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