L'ANALISI
04 Novembre 2023 - 05:10
Mario Cucinella
CREMONA - È sul treno per Torino. Da dove, il mattino dopo, volerà in Giappone, ad Osaka, per il Padiglione Italia Expo 2025. L’architetto Mario Cucinella, un nome che non ha bisogno di presentazioni, è — con il suo studio Mario Cucinella Architects — il primo classificato nel concorso per la costruzione del nuovo ospedale di Cremona. La cerimonia di proclamazione del vincitore e la pubblicazione del suo progetto, insieme con gli altri quattro selezionati nella fase finale, è in programma il 30 novembre prossimo. Cortese, spiritoso, senza atteggiamenti divistici da archistar (guai a chiamarlo così), Cucinella, professionista di fama internazionale con studi a Bologna e Milano, parla per la prima volta della sua nuova sfida.
Cosa può anticipare del suo progetto?
«Niente, mi spiace».
Proprio niente?
«Queste sono le regole e sono obbligato a rispettarle: devo aspettare il 30».
Come ha reagito a caldo quando ha saputo dell’esito del concorso?
«Tra i miei collaboratori è scoppiato un applauso. Si tratta di un concorso di grande rilievo. Devo dire che vi abbiamo partecipato con un notevole sforzo di lavoro creativo e tecnico. È un bel risultato. Ci abbiamo creduto. Anche per le modalità del bando che dava molto importanza all’architettura. Aggiungo: finalmente».
Perché finalmente?
«Sono pochi i bandi pubblici che attribuiscono tanta importanza all’architettura».
Si aspettava la vittoria?
«Quando si partecipa a un concorso, ci si spera sempre. Quindi, sì, ci speravamo. Ma con la giusta, come dire...?».
Prudenza?
«Esatto: prudenza».
Questo non è il suo primo progetto in ambito sanitario.
«Abbiamo lavorato per il San Raffaele di Milano e stiamo lavorando per la Città della Salute di Sesto San Giovanni. Conosciamo bene i problemi tecnici e di ricerca in questo ambito. L’architettura deve saper costruire qualcosa che non sia un oggetto estraneo ma un pezzo della città, del paesaggio».
Da dove nasce la sua attenzione per il mondo della medicina?
«Non solo per la medicina, ma anche, ad esempio, per le scuole. Questi progetti si fanno per un senso profondo: l’educazione dei ragazzi e la cura delle persone. L’architettura ha anche un aspetto sociale».
Quali competenze e quali sensibilità bisogna possedere per progettare un ospedale? E quali sono le difficoltà e i problemi che si incontrano?
«I problemi sono diversi. Gli edifici devono avere la capacità di adattarsi ai cambiamenti. Gli ospedali hanno dimostrato di non essere pronti durante l’emergenza Covid. In futuro ci saranno meno pazienti in corsia ma più day hospital, molto lavoro diagnostico. L’ospedale deve adattarsi a questi cambiamenti, è questo l’aspetto più difficile. Il bando ha dato un’indicazione chiara in questo senso. Ci sono buoni bandi e buone giurie. Da una parte una visione sanitaria, dall’altra un grande sforzo dell’architettura: anche per questo abbiamo partecipato».
Quello di Cremona sarà il primo nuovo ospedale post Covid: questo aspetto ha influenzato il suo lavoro?
«In Italia c’è bisogno di una rivoluzione degli ospedali».
Sarebbe a dire?
«Sono vetusti, molto vecchi, costruiti quasi tutti negli anni Sessanta. Non hanno flessibilità e nemmeno i requisiti di sicurezza sismica. C’è una grande rivoluzione da fare. Il Covid ha mostrato la fragilità degli ospedali».
L’ospedale di Cremona è stato inaugurato nel 1971: come si può considerarlo vetusto?
«Il problema non è tanto negli anni di età, ma nel modo in cui gli ospedali, in generale in tutta Italia, sono stati costruiti e pensati: senza la flessibilità di cui c’è bisogno per poter rispondere ad eventuali, nuove necessità e anche all’evoluzione della medicina stessa. Un ospedale nuovo, poi, significa anche più efficienza nell’uso degli spazi. In passato non esisteva questa consapevolezza, che invece oggi c’è».
Cosa rappresenta per Cremona questa sfida?
«Questo ospedale apre una nuova stagione internazionale per una nuova generazione di ospedali. È questo il pregio del bando. Come sempre, l’architettura ha un grandissima attenzione per la città. Lo vedrete il 30 novembre: sarà davvero una cosa particolare».
Lei ha firmato la ristrutturazione della Casa di Bianco: il suo è un ritorno a Cremona.
«È stato un progetto di grande rilievo per la città, pensato e poi realizzato nel suo cuore storico. Si doveva porre molta attenzione agli aspetti tecnici. Il tema era: come affrontare la modernità nei centri storici. Per me è stata una bella scuola. Anche quella, una sfida affascinante. Ma eravamo molto più giovani...».
Qual è il suo ricordo, la sua immagine di Cremona?
«Ho in mente la piazza e la cattedrale, ma soprattutto le botteghe dei liutai. Si camminava per strada e si sentiva la musica dei giovani che suonavano. Una dimensione meravigliosa, la dimensione materiale della musica. E poi i marubini e i cotechini: grande cucina».
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