L'ANALISI
30 Ottobre 2023 - 05:00
CREMONA - Dopo tanti report dal gusto amaro, statistiche per nulla esaltanti e proiezioni grigie, stavolta dai numeri arriva qualcosa di confortante per i cremonesi, per di più in una di quelle cose non propriamente secondarie: l’importo della busta paga. Secondo lo studio condotto dalla Cgia di Mestre sulla retribuzione media annua delle province italiane (dipendenti del settore privato), Cremona si colloca ad un solido 19º posto, con un importo di 23.505 euro, 1.437 euro in più (+6,6%) rispetto al dato medio nazionale, pari a 21.868 euro.
Nelle diciotto posizioni superiori a quella ricoperta da Cremona si trovano tutte province del Nord, con in testa Milano, che, con un importo annuo medio di 31.202 euro, supera di ben 9.333 euro il dato medio nazionale (+ 42%). Cinque le province lombarde che fanno registrare un importo superiore a quello di Cremona (oltre a Milano, nell’ordine, Lecco, Bergamo, Varese e Lodi). Colpisce l’ottima performance delle province emiliane, con Parma al secondo posto (25.912 euro), Bologna al terzo (25.797 euro), Modena al quarto (25.722 euro) e Reggio Emilia al quinto (25.566 euro). Nelle prime venti province ce ne sono cinque del Nord Est (Trieste, Vicenza, Treviso, Padova e Pordenone), una ligure (Genova) e due Piemontesi (Torino e Novara).
All’estremo opposto le province del Sud, con l’ultimo posto occupato da Vibo valentia, dove l’importo annuo medio si attesta a 11.823 euro, oltre 10mila euro sotto la media nazionale. Sopra Vibo Valentia si trovano Trapani, Cosenza, Nuoro, Crotone, Agrigento, Ragusa, Messina e Lecce, tutte con importi intorno ai 13mila euro.
«Come in molti paesi d’Europa, anche in Italia le differenze salariali a livello territoriale sono importanti. Nel 2021 - spiegano gli autori dello studio - a Milano un ipotetico lavoratore dipendente medio percepiva il 90% in più di un collega di Palermo. Se il confronto viene eseguito con la provincia calabrese di Vibo Valentia, il salario del dipendente meneghino era addirittura superiore del 164%. Gli aspetti emersi dall’elaborazione eseguita dall’Ufficio studi della Cgia su dati Inps ripropongono una vecchia questione: gli squilibri retributivi presenti tra le diverse aree del nostro Paese, tra Nord e Sud, certo, ma anche tra le aree urbane e quelle rurali. Questione che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl)».
«L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste perché nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie - che tendenzialmente riconoscono ai propri dipendenti stipendi molto più elevati della media - sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord. Le tipologie di aziende appena richiamate, infatti, dispongono di una quota di personale con qualifiche professionali sul totale molto elevata (manager, dirigenti, quadri, tecnici), con livelli di istruzione alti a cui va corrisposto uno stipendio importante. Infine - concludono gli autori della ricerca - va tenuto conto che il lavoro irregolare è diffuso soprattutto nel Mezzogiorno».
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