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SORESINA

Santa Croce, bimbo di 8 anni al vescovo: «Se la riapri farò il campanaro»

La lettera del piccolo Matteo commuove monsignor Napolioni: «Proponi sempre quel che il cuore ti suggerisce»

Andrea Niccolò Arco

Email:

andreaarco23@gmail.com

05 Ottobre 2023 - 05:15

Santa Croce, bimbo di 8 anni al vescovo. «Se la riapri farò il campanaro»

La chiesa di Santa Croce di Soresina

SORESINA - «Che ne sarà di Santa Croce a Soresina?». Se lo chiede don Angelo Piccinelli, il parroco della città del Genala, ogni volta che passa davanti al tempio dell’ospedale, oggi abbandonato. Ma se lo chiede anche Matteo, bambino di appena otto anni e mezzo, che tra una lezione e l’altra all’istituto dell’Immacolata ha scritto al vescovo Antonio Napolioni, confessando di essere triste perché la chiesa simbolo del rione omonimo, dove abita con la famiglia, è chiusa da troppi anni. Lui si era innamorato del campanile e delle campane, che sognava di far suonare.

Don Angelo Piccinelli

Da qui l’idea di scrivere al suo ‘lontano amico’: «Vescovo Antonio, riapriamola! Se serve un campanaro io sono disponibile tutti i sabati e le domeniche». Il tenero messaggio ha smosso il cuore del presule, che ha risposto commosso: «Caro Matteo, mi ha fatto piacere ricevere e leggere la tua e-mail. È bello che tu ti dispiaccia vedendo una chiesa chiusa e non sentendo suonare le sue campane. Per sapere qualcosa di più sui motivi di queste scelte, dovresti chiedere a don Angelo, che conosce meglio di me la storia e la realtà in cui vivi. Io posso dirti – ha aggiunto il capo della chiesa cremonese – che abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto tante belle chiese, che cerchiamo di custodire, anche se a volte non ne abbiamo le forze. L’essenziale – qui il significato vero e proprio della lettera – è che abbiamo a cuore comunque la ‘Chiesa’ fatta di persone, la comunità, il popolo di Dio. Le campane servono per chiamarlo, le chiese per radunarlo. E credo che anche il tuo impegno per questo sarà importante. Perciò ti ringrazio e ti incoraggio a proporre sempre ciò che il cuore ti suggerisce per il bene della comunità. Un saluto alla tua mamma» (che ovviamente ha scritto la mail sotto dettatura, ndr).


Don Angelo, che ha reso pubblico lo scambio epistolare, ci tiene tanto quanto Matteo a rivedere una Santa Croce che possa splendere di nuovo: «Quando la vedo così mi sento trafiggere l’anima, come accade del resto a tanti soresinesi per i quali la condizione tristissima del monumento è insopportabile. Non solo perché la chiesa è stata e rimane il simbolo dell’omonimo quartiere ma, soprattutto, per il suo valore storico, culturale, religioso e sociale. Molte coppie – racconta – nei tempi che furono, vi hanno celebrato le nozze. Per la sua prossimità alla casa di riposo, le esequie di un gran numero di defunti sono state officiate tra le sue mura. Ma qui, in particolare, davanti alla più insigne delle reliquie custodite nel nostro borgo, cioè un frammento della Croce di Gesù, sono state accolte le angosce, le paure, le lacrime e le speranze di una moltitudine di ammalati ospiti, nel corso dei secoli, del nosocomio intitolato, per l’appunto, alla Santa Croce».


Non certo solo lamenti e malinconia. Don Piccinelli non è tipo da perdersi in chiacchiere, tanto meno una persona che si metterebbe a scrivere dal nulla, senza un particolare motivo, su un argomento così importante se non avesse una soluzione a portata di mano. E, infatti, nella chiosa della sua riflessione inviata ai parrocchiani, c’è l’appello: «Avevo proposto al consiglio pastorale, dopo aver parlato col vescovo, il recupero in extremis di Santa Croce come chiesa cimiteriale, per conservare le urne cinerarie, senza modifiche alla struttura. Ma la parrocchia non ha le risorse per fare questo progetto. Per realizzare il sogno di Santa Croce, e di Matteo, sarebbe pertanto necessario che qualcuno, un’impresa edile ad esempio, si assumesse l’onere di restaurare la chiesa e di allestire le celle cinerarie, con il vantaggio di gestire poi, autonomamente e per diversi decenni, l’assegnazione dei loculi».

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