L'ANALISI
16 Settembre 2023 - 07:55
CREMONA - Non solo «un riferimento amministrativo», ma anche «un luogo di crescita, dove c’è cultura medico-scientifica», un luogo «di incontro con i cittadini» e di «confronto con le istituzioni». Spazi luminosi, modernità e tecnologia, la sala conferenze (65 posti) accanto a quella del consiglio (una ventina di posti). In via Dell’Innovazione Digitale c’è la nuova ‘casa dei medici’, sede «al passo con i tempi» dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Cremona. Ieri alle 17, l’hanno inaugurata Gianfranco Lima, 73 anni, da 13 presidente dell’Ordine con al fianco Andrea Morandi, 38 anni, da 5 segretario dell’Ordine e presidente degli Odontoiatri. In prima fila il vescovo Antonio Napolioni, il sindaco Gianluca Galimberti, il senatore di Fratelli d’Italia Renato Ancorotti, le autorità, i vertici dei medici: dal presidente dell’Ordine nazionale, Filippo Anelli, al segretario nazionale Roberto Monaco, al presidente Fromceo Lombardia, Gianluigi Spata. Sono 1.905 gli iscritti all’Albo dei medici chirurghi; 308 quelli all’Albo degli Odontoiatri, più i 118 che si sono laureati prima della creazione della figura professionale dell’Odontoiatra nel corso di laurea. Dagli interventi al taglio del nastro, dal buffef al concerto dell’orchestra MagicaMusica.
La sanità pubblica sconta, oggi, la carenza di medici (mancano gli specialisti). C’è la fuga dal pubblico al privato, la remunerazione è bassa, i tempi di attesa per un esame sono lunghi. «L’ospedale — spiega Lima — è ormai scarsamente attrattivo per i giovani medici e, chiaramente, per i vecchi per altre prospettive». Attrae poco i giovani «per la difficoltà a trovare una scuola di specializzazione. Perché una volta trovata, bisogna cercarla sul mercato. Non ci sono più concorsi e quando ci sono, vanno vuoti o perché non ci sono gli specialisti o perché a nessuno interessa». Ma la soluzione non è aprire le porte alla Facoltà di medicina. «Deve restare il numero chiuso», sottolineano Lima e Morandi. «Avere il numero aperto significa immettere sul mercato 10mila medici, ai quali bisogna trovare le scuole di specialità (che hanno 10 posti), senza la quale non si lavora». Non è creando disoccupati che si risolve il problema. «Inoltre, non ci sono risorse», sottolinea Lima.
«Il nuovo ospedale — prosegue Lima — ha uno stanziamento soltanto per la costruzione, nel quale rientra l’abbattimento, più meno totale, del vecchio, ma in quei soldi non ci sono gli investimenti in tecnologie: fare un ospedale nuovo vuol dire avere la Tac di ultimo modello. Bisogna trovare i soldi sul mercato per la strumentazione moderna». Il presidente nazionale Anelli spiega: «Viviamo in un momento molto delicato, perché abbiamo vissuto la pandemia come un momento che ha evidenziato l’importanza delle professioni e, quindi, delle competenze. E, poi, ci siamo ritrovati a gestire la pandemia, ci siamo guardati intorno, perché le persone erano poche. Anche i turni sono diventati impossibili: ventiquattro ore in ospedale».
L’auspicio era che «dopo il Covid, qualcosa cambiasse, poiché quell’impegno allora assunto dal ministro Speranza (‘Mai più tagli’) si sarebbe trasformato in qualcosa di concreto. In realtà, oggi questa azione concreta rimane sub judice: la finanziaria, la prima del Governo Meloni, «con grandi aspettative da parte nostra; il ministro Schillaci ha chiesto 4 miliardi. Noi lo sosteniamo, perché riteniamo che siano giusti. Vorremmo che i 4 miliardi fossero in larga parte vincolati ai professionisti, perché oggi mancano».
Il rinnovo contrattuale «prevede un aumento di circa 100 euro netti al mese — prosegue Anelli —. Io credo che non sarà ben accolto dai colleghi, è un eufemismo. Non credo sia questo lo strumento per potere dire ai medici ‘rimanete’». Quindi, «i problemi oggi sono una scarsa considerazione della professione, uno scarso livello retributivo: siamo tra gli ultimi in Europa, un numero del personale molto basso, un numero di professioni sanitarie non sufficiente». Una situazione che il presidente Anelli definisce «disastrosa sul territorio: mancano i medici di famiglia, gli infermieri. Per invertire questa tendenza, c’è bisogno di investire sulle professioni: aumentare gli stipendi, aumentare il numero del personale, rendere attrattiva la professione».
La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del Pil, sotto di 0,3 punti percentuali rispetto alla media Ocse, del 7,1%, e alla media europea del 7,1%. «La Germania investe il 10,9% del Pil, la Francia il 9% Per raggiungere la Germania, dovremmo metterci 50 miliardi. Perché Germania e Francia investono così tanto? — rilancia il presidente Anelli —. Non penso che le motivazioni siano solo legate all’efficacia del Servizio Sanitario nazionale in termini di salute. Questo ci colloca in posti molti alti delle classifiche, siamo tra i Paesi in cui, nonostante il basso impegno economico dello Stato, si riesce a dare risposte di efficienza notevoli. Io penso che il Servizio sanitario nazionale sia uno strumento, un volano dell’economia». Sarà, questo, «l’oggetto di un convegno che faremo ad ottobre, in cui presenteremo un rapporto tra Servizio sanitario ed economia come sviluppo economico e sociale del Paese».
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