L'ANALISI
20 Agosto 2023 - 05:30
E' l’estate più torrida, non solo in senso meteorologico, per i consumatori, costretti come non mai a fare i conti con stipendi fondamentalmente congelati, che pertanto non riescono a tenere il passo con l’inflazione e con prezzi dei generi di prima necessità (carburanti per l’auto compresi) in deciso aumento.
L’effetto combinato di questi fattori è che gli italiani, trovandosi di fronte al dilemma se riempire il serbatoio dell’auto o la dispensa, hanno optato per entrambe le soluzioni, accorciando cioè il tempo e il raggio delle loro vacanze, nonché alleggerendo il carrello della spesa. É la tempesta perfetta sui conti delle famiglie. Certo, va ricordato che a luglio l’inflazione in Italia si è ridotta al 6,3% (contro il 5,3% nell’eurozona, dal 5,5% di giugno), come ha rilevato venerdì Eurostat. Ma va anche rilevato che non c’è stato per ora alcun rimbalzo calmieratore sui prezzi al consumo, che anzi tendono all’insù.
Con il suo +4,9% la provincia di Cremona è tra le virtuose (49ª in Italia), ma a pesare sui conti della famiglie sono soprattutto i generi di prima necessità come pane, latte, bevande, frutta e verdura, la cui crescita tendenziale è del 10,8 per cento. Un rincaro complessivo calcolato in 1.292 euro all’anno. Più o meno uno stipendio che si volatilizza. Parziale sollievo, per chi resta a casa invece che andare al mare, viene dal fatto che i ristoratori cremonesi hanno limitato al 2,9 per cento il rincaro dei loro servizi, piazzando la provincia sul podio delle quattro migliori d’Italia.
Una scelta tanto più significativa perché stabilita malgrado l’aumento notevole del costo delle materie prime e dell’energia. In questo quadro non deve stupire il fatto che l’indebitamento medio delle famiglie cremonesi sia salito, lo scorso anno, del 2,9 per cento, arrivando a quota 24.438 euro. Un dato superiore a quello medio italiano, pari a 22.710 euro, che colloca la nostra provincia al 34° posto in Italia. Lo stock dei debiti è in aumento a causa dell’inflazione (arrivata a fine anno scorso intorno al 12 per cento), dell’incremento del costo dei mutui e dell’aumento del peso delle bollette.
Alla voce ‘costi’ il capitolo più caldo in questi giorni è quello dei prezzi dei carburanti, lievitato ogni 24 ore nelle ultime due settimane fino ad arrivare al caso limite della ‘verde’ venduta a 2,7 euro al litro in un distributore sull’autostrada Milano-Varese. Uno degli effetti negativi dell’aumento dei prezzi dei carburanti è l’impatto che questo avrà anche sugli altri beni.
In Italia l’88 per cento delle merci per arrivare sugli scaffali viaggia su strada e l’aumento dei prezzi di benzina e gasolio ha un effetto valanga sui costi delle imprese e sulla spesa dei consumatori. Comunque sia, anche in questo caso la provincia di Cremona fa bella mostra di sé, con prezzi medi inferiori a quelli regionali. Ma si tratta pur sempre di pochissimi centesimi di euro, quindi la stangata è servita anche qui.
Attualmente, se lo consideriamo «depurato dalle tasse», in Italia «il prezzo industriale di benzina e gasolio è il più basso d’Europa», ha dichiarato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, rivendicando l’intervento del governo «che ha tenuto più basso del resto d’Europa il prezzo industriale» dei carburanti. Una considerazione che, seppur vera (i prezzi industriali, prima delle tasse, sono inferiori rispettivamente di 2,3 e 4,5 centesimi al litro rispetto alla media europea), fa a pugni con la realtà: su un litro di benzina il carico fiscale pesa 1,061 euro, 0,91 sul gasolio, numeri che fanno indossare all’Italia la maglia nera europea per quanto riguarda il gasolio e la seconda peggiore sulla benzina, superata solo dalla Finlandia.
A pesare in maniera sostanziale sono quindi le tanto maledette accise (abbiamo ancora quella sul finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935-1936 e sul disastro del Vajont, 1963, giusto per fare un paio di esempi), che rappresentano sulla benzina il 38 per cento del costo totale e l’Iva il 18 per cento (in totale il 56), quelle sul diesel pesano per il 35 per cento e l’Iva il 18 per cento (53 la somma finale).
Le associazioni dei consumatori e l’opposizione chiedono a gran voce un intervento calmieratore del governo, sulla scia di quanto deciso dall’esecutivo guidato da Mario Draghi all’indomani dell’invasione russa in Ucraina, che decise un taglio di 25 centesimi al litro delle accise (30,5 considerando anche l’Iva). Un provvedimento costato alle casse pubbliche 9 miliardi scaduto lo scorso gennaio. Atteggiamento che il governo guidato da Giorgia Meloni ha deciso di non rinnovare, privilegiando altri interventi in difesa del potere d’acquisto delle famiglie. Quali lo ha spiegato ancora Urso: «Tagliare le accise della benzina costerebbe un miliardo al mese, 12 miliardi l’anno. Il governo ha invece utilizzato questi fondi per tagliare due volte il cuneo fiscale e ha intenzione di farlo ancora con la prossima legge di Bilancio. Il ministero dell’Economia sta preparando la manovra che sarà destinata al taglio strutturale del cuneo fiscale per rilanciare l’impresa e il lavoro italiano e consentire a chi ha salari più bassi di avere un reddito dignitoso frutto del loro lavoro».
Se così sarà, gli effetti di queste boccate d’ossigeno si potranno avvertire però solo a partire dal l’anno prossimo, mentre il super-pieno ha costi stratosferici già oggi. Una decisione che potrebbe costare cara in termini di popolarità al governo. In molti ricordano oggi a Giorgia Meloni che al punto 17 del programma elettorale di Fratelli d’Italia pubblicato per la campagna del 2022, capitolo ‘Energia pulita, sicura e a costi sostenibili’, si promette l’impegno per la «sterilizzazione delle entrate dello Stato da energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise».
Analoghe promesse anche nel programma della Lega: tra le proposte sul caro carburanti c’è quella di «proseguire con misure transitorie di riduzione delle accise di gasolio, benzina e Gpl, nonché, per il gas naturale per autotrazione l’azzeramento dell’accisa e la riduzione (anche l’azzeramento) dell’Iva nella misura del 5 per cento». Atteggiamento confermato dal leader Matteo Salvini, oggi vicepremier, l’8 febbraio scorso con la promessa che «se si arrivasse sopra i 2 euro, il Governo interverrà, come è stato già fatto l’anno scorso». Ebbene: ci siamo. Meloni oggi ricorda che «quello (Ndr: il taglio delle accise) fatto dal precedente Governo era in occasione di un contesto diverso, i dati oggi sono diversi. Il Governo ha preferito destinare risorse pubbliche a diverse emergenze». Per la premier quel «dati di oggi» significa anche essere passata dall’opposizione alla necessità di fare quadrare i conti di chi sta alla guida del Paese.
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