L'ANALISI
06 Agosto 2023 - 07:46
Giuseppe Tamagnini
CREMONA - Non entra nel merito della polemica: le 645 firme due giorni fa portate in Comune da Diego Garavelli, anima della protesta contro i nove metri di muro del futuro supermercato Despar che «oscurano», in particolare, le case di via Monsignor Giulio Ratti dove Garavelli abita.
«L’Italia è un paese libero, ciascuno è libero di esprimere il proprio pensiero». Entra, invece, nel «merito del progetto che, così come è adesso, bisogna vederlo ultimato». Giuseppe Tamagnini, architetto urbanista, è padre del progetto di riqualificazione dell’ex area Snum, «una cicatrice nella città», lì dove si sta ‘tirando su’ il supermercato. «Ora non è giudicabile».
Bisogna attendere in autunno, quando, spiega il professionista, «le pareti saranno tutte rivestite in lamiera stirata color bronzo. Altre parti, quelle sul lato di via Cadore e di via Giordano e anche verso l’interno, dove ci sarà l’ingresso principale, saranno tutte dipinte di bianco».
Uno spazio verde, i parcheggi e le antiche mura «totalmente perse, soffocate dall’ex Snum» che ora «riemergono e saranno ridonate alla città dal punto di vista visivo. Si è lavorato in modo dialettico con la Sovrintendenza. Si propone, si aggiorna e si arriva a una sintesi».
Sessantasette anni, natali a Crotta d’Adda, Tamagnini è architetto con due lauree: la prima l’ha conseguita nel 1985 presso il Politecnico di Milano, la seconda, nel 1998, in pianificazione territoriale e urbanistica all’Università di Venezia. Si definisce «un materico: amo di più l’architettura di sostanza, che sia poi impermeabile, con vetrate piuttosto che solida con le murature ben definite».
Nel suo studio in via Milano, a Cavatigozzi, l’urbanista spiega il progetto, partendo dall’ex Snum, «area totalmente dismessa da anni, una ‘topaia’ indecorosa che, giustamente, andava risanata, recuperata. E così si è fatto. È un’architettura contemporanea che dialoga con il contesto storico».
Al ‘tribunale’ dei 645 firmatari, non solo i residenti del quartiere, si chiede, dunque, di pazientare prima di emettere la sentenza. «È come vedere lo scheletro di una persona. Non si vede il progetto».
Architetto urbanista «molto essenziale nei suoi progetti», Tamagnini antepone «la sottrazione dei volumi all’aggiunta: bisogna arrivare all’essenza, tenendo conto che è una funzione commerciale».
Insomma, lì non si fa una villa «alla Richard Meier in California. Siamo in un contesto dove la funzione ha la sua preminenza. Valorizzare un edificio, cercando di creare un qualcosa che si possa definire architettura nell’ambito di una funzione codificata e ben definita come quella commerciale, è un’impresa complessa».
Il progettista dice che si poteva realizzare una cosa ben più ingombrante, ma non lo si è fatto. «L’area era dotata di molta più possibilità di edificatoria, invece è stata utilizzata poco più del 50 per cento. Lo spazio è modesto, non sono neanche 7mila metri quadrati. L’edificio, la parte vendita, è di 1.500 metri quadrati. Il supermercato poteva anche essere a due piani, è ad un piano per il tipo di utilizzo. Poi, abbiamo fatto l’intervento sul restauro delle mura e tutta la cittadinanza potrà entrare e visitarle. Noi le abbiamo fatte emergere. Se tu realizzi un edificio che ha una sua connotazione contemporanea, l’antico risalta, è preminente la sua dignità, ha una sua identità. Il paesaggio è un insieme di fattori umani e naturali che devono interagire tra loro».
Chi protesta suggerisce un giardino verticale. «Manutenere una parete verticale costa, ci vuole un sistema di irrigazione, altrimenti d’estate ci si trova con una parete gialla, bruciata».
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